sabato 21 giugno 2014

L'universo dei non udenti, LIS.

   1.6 La lingua italiana dei segni
I segni usati dai sordi non sono un semplice insieme di gesti per comunicare. I segni hanno una grammatica ben precisa, regole per declinare i verbi, per il plurale e il singolare. Sono una vera e propria lingua (al pari delle lingue vocali). I sordi hanno sempre usato la lingua dei segni, per molto tempo di nascosto visto che i gesti erano considerati “poveri” e il pregiudizio portava (e porta ) a  pensare che i sordi usando i segni non avrebbero mai imparato a parlare.
La risoluzione finale del Congresso internazionale di Milano (appena sopra citato), cancellò la tradizione bilingue, affermò la superiorità educativa del metodo oralista e del suo uso come unico metodo di educazione e istruzione per i sordi in Italia.
 Oggi l'atteggiamento è in gran parte cambiato, anche grazie al contributo di diversi studiosi che si sono occupati della lingua dei segni. Le ricerche hanno avuto inizio negli anni Sessanta, quando il linguista americano William Stokoe dimostrò per primo che la Lingua dei segni americana, la Asl (American Sign Language), presentava tutte le caratteristiche morfologiche, grammaticali, sintattiche di ogni lingua naturale. Le lingue dei sordi, al pari di tutte le lingue del mondo, oltre ad avere proprie caratteristiche, si differenziano da Paese a Paese e da Regione a Regione. E come tutte le minoranze linguistiche anche i sordi hanno una loro cultura. W. Stokoe considerò tutto ciò che la sordità produce come cultura. Tradizioni che si possono tramandare, racconti e poesie in segni, e tutto il bagaglio di conoscenze teoriche e simboliche trasmesse dai sordi di generazione in generazione. Il lavoro di W. Stokoe fu veramente rivoluzionario. Precedentemente, nemmeno i sordi erano consapevoli del fatto che i segni costituissero una vera e propria lingua e fossero portatori di una cultura peculiare.
Altri ricercatori, sull’onda di W. Stokoe, in tutto il mondo, hanno iniziato a studiare le loro lingue dei segni. In Italia, all'Istituto di psicologia del CNR di Roma da quasi trent’anni ricercatori udenti e sordi studiano la Lingua dei segni italiana (LIS). Hanno dimostrato che, come quella americana, anche la Lingua dei segni italiana costituisce una vera e propria lingua.
Gli studi sulla cultura sorda italiana, in ambito accademico, tuttavia sono ancora poco sviluppati rispetto ad altri Paesi. Una tappa importante in questo panorama è stato il convegno "Cultura del gesto, cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi"  organizzato nel 1996 da un gruppo di studenti del dipartimento di studi Glotto-antropologici dell’Università “La Sapienza” di Roma. E’ stato il primo convegno che ha affrontato in chiave antropologica temi relativi alla sordità con la volontà di dare un impulso a questo tipo di ricerche anche nel nostro Paese.
Un’antropologia della sordità che consideri la sordità non come non come deficit sensoriale, ma piuttosto come risorsa che genera cultura. Una cultura forse difficile da definire, visto che non esiste geograficamente un luogo abitato dai sordi, ma che molti sordi identificano proprio con la lingua dei segni.
Questa lingua, infatti, non solo è portatrice della comunicazione e del linguaggio dei sordi, ma è lo strumento di una percezione del mondo tutta particolare che si basa sulla visione, senza il suono.
La LIS è l'unica lingua che può essere acquisita spontaneamente attraverso le stesse tappe del linguaggio parlato, perché si trasmette attraverso il canale visivo che nel sordo è integro. Ed è proprio attraverso questo canale che, grazie alla logopedia, passa anche l'acquisizione della lingua parlata.
Una risoluzione del Parlamento europeo del 1988 invitava, come già evidenziato, i Paesi membri a riconoscere le rispettive lingue dei segni come lingue ufficiali. L'Italia non si è ancora uniformata a questa disposizione. Fortunatamente è oggi all’esame della Commissione Cultura della Camera la proposta di legge (n. 351 del 29 aprile 2008) d’iniziativa, del deputato Antonio De Poli per  il “Riconoscimento della Lingua italiana dei segni”. La proposta, in quattro articoli, prevede il riconoscimento e la conseguente tutela della LIS come lingua non territoriale della comunità dei sordi in applicazione dell’art. 3 della nostra Costituzione e della normativa europea sulle lingue regionali o minoritarie. Stabilisce l’uso della LIS in giudizio e nei rapporti con le Amministrazioni pubbliche, garantisce l’insegnamento della LIS in ogni ordine di scuola e all’Università e incentiva le trasmissioni televisive nelle quali è utilizzata la LIS e quelle gestite dai sordi. Le norme regolamentari della proposta si pongono nelle linee tracciate dalla Legge n. 104/92 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
Forse si percorrono i primi passi verso quei valori descritti da Renato  Pigliacampo?[1] “Il bambino sordo è una ricchezza che si può e si deve scoprire con la lingua dei segni. Che è la sua principale lingua, senza che questo gli impedisca l’apprendimento delle altre lingue, in primis la lingua vocale parlata dalla maggioranza. Ma perché questo sia possibile dobbiamo liberarci dai pregiudizi, dalle mezze verità, dal tornaconto per rimboccarci le maniche favorendo e costruendo una società a misura di tutti. Sappiamo che non è un traguardo utopistico: è una realtà a portata di mano dell’uomo sordo, dell’uomo udente. Solo così, dopo, saremo persone senza etichetta.”



[1] Pigliacampo R., Lingua e linguaggio nel sordo, Armando Ed, Roma, 1998, pag. 13

Nessun commento:

Posta un commento