“Mi
piacerebbe usare bene word”
il primo libro di Giuliana Lai, la
sorella della grande artista ogliastrina Maria Lai, di
Virginia Marci Presidente Pixel Multimedia
Emerge
in “Mi piacerebbe usare bene word” il ritratto di una donna
semplice, che ama leggere, scrivere, ascoltare musica. Legata al suo
paese, all’Ogliastra e alla Sardegna. Ma anche frutto di una donna
aperta alle nuove esperienze, che ama il computer e viaggiare, cosa
che fa anche in età piuttosto avanzata.
Una
donna legata agli affetti e dedita alla cura della famiglia e di suo
marito Luigi. Il titolo “ Mi piacerebbe usare bene word “ trae
origine dalla sua ultima scoperta e passione, peraltro lodevole,
quella del software di videoscrittura che la facilita nello scrivere,
ordinare in modo pulito la raccolta dei propri preziosi ricordi.
Curioso però che per la prima stesura usi la matita a punta morbida,
dono della sorella Maria, celebre artista di Ulassai, che ci
rappresenta nel mondo.
Ho
letto il libro durante le vacanze e l’ho letto tutto d’un fiato
perché il modo di raccontare della Signora Giuliana è semplice,
lineare, piacevole. E poiché tutti abbiamo “ una chiave di
lettura” di quel che leggiamo; per me la chiave è stata quella di
rispecchiarmi nel suo lavoro.
Generazioni
diverse, modi e stili di vita simili a simboleggiare che la
trasformazione della Sardegna dal punto di vista sociale e culturale
è veramente recente. Poiché il libro della Signora Giuliana è il
mio specchio (credo valga lo stesso per la maggior parte delle
lettrici e dei lettori), le soste durante la lettura sono dovute alla
grande emozione che suscita. Ricordi che si intrecciano con i miei
vissuti e con quelli che mi hanno raccontato genitori e nonni.
Vita
più umile la mia, ma simile nel suo fluire, nel ripetere giochi,
tradizioni, rituali. Vicina nell’avvicendarsi dei lavori nei campi,
nella modalità di trascorrere le vacanze nell’infanzia e
nell’adolescenza, così per gli spostamenti a cavallo o con i buoi,
così per i dissapori fra le famiglie.
Non
mi dilungo. Ma voglio citare uno dei racconti “La casa di sabbia”
ossia la casa delle vacanze estive. Per me è cambiato il mezzo di
locomozione ( il carro per lei, la macchina o il postale per me), ma
il primo mare è sempre Perd’e Pera. La casa è fatta di tende, i
servizi igienici sono tra i cespugli. Bagni di sabbia per le cure,
bagni in acqua con le donne di Ulassai (e di Foghesu, di Jerzu e
Gairo) che indossano lunghe gonne plissettate.
Non
c’era l’acqua nella casa improvvisata e mio padre doveva recarsi
al Monte de Ferru dove ci si poteva approvvigionare in una limpida
sorgente. Si diceva abitasse in quei luoghi un eremita e noi bambini
nutrivamo il grande sogno “incontrarlo”. Quando mio padre si
attardava, lo attendevo con ansia. Al suo arrivo gli chiedevo se
avesse visto quel signore che viveva isolato e quali sembianze
avesse. Tutto era intriso di grande magia.
Ringrazio
Signora Giuliana per averci regalato questo suo lavoro, ricco di
amore per i valori, quelli veri, per il forte attaccamento alla
terra, alla famiglia e alla comunità, alla conoscenza. È un libro
che tutti dovrebbero leggere. Come “Le Fiabe sarde” di Sergio
Atzori è adatto ai bambini dai tre ai novanta anni e più. In
particolare dovrebbe essere letto a scuola per la sua alta valenza
pedagogica, affinché i giovani possano scoprire il positivo della
nostra cultura.
Perdasdefogu,
31 ottobre 2008
Biblioteca
comunale “Daniele Lai”
Presentazione
del libro Sardinia Blues di Flavio Soriga
Ed.
Bompiani
Virginia
Marci
Licheri,
Corda, Davide. Sono tre giovani sardi laureati, in attesa, (ma lo
cercano sul serio?) del loro primo lavoro che non arriva. Trascorrono
le loro giornate fra bar e discoteche di provincia, tutti sregati da
Dandy, una bellissima ragazza. Trascorrere le giornate estive libere
in una Sardegna che non è la Barbagia, ma neanche la Costa Smeralda
non è certamente facile e i tre amici per occupare il tempo e per
compiere azioni trasgressive rubano carte di identità in un piccolo
comune e entrano a forza nella casa del Conte di Santa Croce cercando
un testamento con cui l’anziano nomina la convivente polacca erede
universale. Un libro in cui irrompono altri bei personaggi: la
ballerina che ha lasciato Davide, il fidanzato di Dandy, il ramo
William, l’amante matura di Davide, Maria Elena, l’amica Elisa,
il pastore gay, il rock, il mare della Sardegna.
La
protagonista del romanzo è tuttavia la talassemia, la malattia che
accompagna Davide, sin dalla nascita. Malattia sviscerata, esaminata
e descritta dall’autore in maniera scientifica senza fare di
Davide una persona diversa. Anzi, al contrario, ne esalta la
diversità e non mancano accurate descrizioni di trasfusioni di
sangue, dettagliati racconti di incontri con medici, spesso privi di
umanità. Malattia descritta da Flavio Soriga come una sorta di
catarsi liberatoria.
Sardinia
Blues è anche altro. Racconta il disfacimento della famiglia. Il
padre di Davide ha lasciato la madre per una collega di quindici anni
più giovane. I tre amici non hanno punti di riferimento se non la
musica e le belle donne che fanno soffrire. Nessuno dei tre ha una
relazione amorosa stabile, sicura e le donne sono sfuggenti, sicure,
sballate di coca, vogliose di fare sesso. L’amore, se non quello
della madre per Davide, manca in questo romanzo che presenta una
trama narrativa corposa e ben articolata perché se numerosi sono i
personaggi e le situazioni tratteggiati, lo scrittore riesce a tenere
desta l’attenzione del lettore sia pure affrontando diversi temi.
“Sardinia
blues” è un romanzo innovativo, per lo stile narrativo, uno stile
molto diverso dai precedenti romanzi di Flavio Soriga. Basti pensare
al finale, originale e inaspettato, del libro che riesce a coniugare
diverse vicende personali sullo sfondo del mare pulito di una
Sardegna amata, in maniera assoluta, dallo scrittore.
PROSSIMAMENTE
A PERDASDEFOGU
Il
Delitto d’onore in Sardegna (La storia di Irene Biolchini) ,
Simonetta Delussu – Ed. La Riflessione
di
Francesca Lai
1900,
Jerzu la piccola Irene Biolchini nasce tra l’amore dei famigliari,
la sua infanzia trascorre serena allietata dalla nascita dei
fratellini. Per via del trasferimento del padre (esattore comunale)
all’età di otto anni la bambina si reca con la famiglia a Tertenia
dove poi, trascorrerà tutta la vita. Fattasi grande e in età di
matrimonio la bella Irene viene chiesta in sposa da Domenico Lobina,
giovane di Osini, carabiniere a Tertenia. Domenico che trascorre la
sua infanzia ad Osini viene descritto nel romanzo come una bambino
taciturno, il cui triste futuro viene presagito dalla madre e dalla
levatrice proprio nel momento della nascita: Domenico presenta
infatti delle caratteristiche fisiche che determinano la sfortuna e
la morte violenta: tre nei e un segno sulla fronte. Arrivato a
Tertenia Domenico sposa in prime nozze una giovane e bellissima
donna, Elvira, che non potendogli dare un figlio si consumerà nel
dolore che la porterà alla morte. Dopo pochissimo tempo il vedovo
incontrerà Irene Biolchini, si fidanzerà con lei, col beneplacito
di tutta la famiglia e soprattutto con la benevola approvazione del
padre di lei, Costantino. Domenico, vuole un figlio a tutti i costi e
cerca di sedurre Irene a consumare il matrimonio prima delle nozze,
la reticenza di lei porta Domenico a farle una promessa: se non ti
sposerò dovrai uccidermi. Regalatele una pistola, Domenico le
insegna a sparare, Irene controvoglia maneggia la pistola. Accortasi
di essere incinta Irene sente la presenza di Domenico venire meno,
lui sempre impegnato con la caccia e col lavoro sparisce dalla sua
vita ma non dai suoi pensieri. Ancora un triste evento colpisce la
vita della giovane, infatti si viene a sapere che Domenico ha chiesto
in sposa un’altra giovane donna del paese Fortunata Delussu, e che
le nozze avverranno a breve. Sedotta e abbandonata Irene deve far
fronte alla nuova situazione, incoraggiata dal padre a lavare con la
morte l’onta subita e minacciata ella stessa di morte da parte del
genitore, la giovane decide di imparare a sparare meglio di quanto le
avesse già insegnato Domenichino. Va alla ricerca della tigre
d’Ogliastra, Samuele Stocchino ben sapendo che egli è nascosto
nelle campagne del paese aiutato nella sua latitanza anche dalla
famiglia Biolchini. Stocchino le insegnerà a sparare con precisione
ma non vorrà mai sapere a quale disonore dovrà far fronte Irene. Le
nozze di Fortunata Delussu e Domenico Biolchini sono imminenti, ma un
episodio scuote la comunità terteniese, durante la messa domenicale
zia Pasqualina posseduta dagli spiriti predice una grande disgrazia
per il paese. Irene gira per Tertenia con la pistola sotto il
grembiule aspettando di incontrare Domenico per poterlo freddare con
un colpo. Incinta di cinque mesi sempre più affaticata in una
giornata dell’ottobre 1923 Irene uccide Domenico con due colpi di
pistola uno dei quali lo colpirà in fronte. Si era sposato da appena
dodici giorni. Irene si reca in caserma e si consegna nelle mani
dell’arma, verrà portata nel carcere di Cagliari, dove nascerà
Piero il suo primogenito. Verrà assolta per l’omicidio sei mesi
dopo. Tornata a Tertenia un’intera comunità l’attende, si
risposerà e avrà un’altra figlia, Maria. Piero crescerà ignaro
del passato della madre, fino a fare i conti con la triste realtà
quando ancora in tenera età viene canzonato dai compagni che lo
chiamano “bastardo”, saputa tutta la verità da un amico Piero
attende una conferma dalla madre, un tacito assenso arriverà in una
sera d’inverno. Piero viene chiamato per la leva militare, ma prima
di partire si reca ad Osini alla ricerca dei parenti del padre, li
troverà, ma accolto in malo modo andrà via da Osini con grande
disagio e con la consapevolezza di non aver niente a che fare con
quelle persone, pensando solo alla madre donna coraggiosa che aveva
difeso la sua vita. Arruolatosi poi nella legione straniera vivrà
per sempre in Francia, vedendo sua madre per l’ultima volta in una
visone. Irene morta di febbri dopo aver sognato Domenico che la
chiamava a se, appare a Piero per salutarlo ancora una volta prima
dell’ultima partenza. E’ il Gennaio 1953. Un romanzo che si snoda
tra le due guerre, che racconta di tante perdite, di generazioni di
giovani mai più tornate a casa. Racconta il coraggio di una donna
che fa fronte al disonore con l’unica arma che la tradizione le
impone: l’omicidio, il delitto d’onore. Salva la sua vita Irene,
ma anche quella del dono più prezioso suo figlio. Sopporta le
malelingue, sopporta la disapprovazione, sopporta tutto pur di dare
alla luce il suo bambino. Una donna con un carattere indomito, una
donna forte quella che viene delineata nel romanzo, e che non viene
meno ad ogni suo dovere, qualsiasi esso sia.
“Mi
piacerebbe usare bene word”
il primo libro di Giuliana Lai, la
sorella della grande artista ogliastrina Maria Lai, di
Virginia Marci Presidente Pixel Multimedia
Emerge
in “Mi piacerebbe usare bene word” il ritratto di una donna
semplice, che ama leggere, scrivere, ascoltare musica. Legata al suo
paese, all’Ogliastra e alla Sardegna. Ma anche frutto di una donna
aperta alle nuove esperienze, che ama il computer e viaggiare, cosa
che fa anche in età piuttosto avanzata.
Una
donna legata agli affetti e dedita alla cura della famiglia e di suo
marito Luigi. Il titolo “ Mi piacerebbe usare bene word “ trae
origine dalla sua ultima scoperta e passione, peraltro lodevole,
quella del software di videoscrittura che la facilita nello scrivere,
ordinare in modo pulito la raccolta dei propri preziosi ricordi.
Curioso però che per la prima stesura usi la matita a punta morbida,
dono della sorella Maria, celebre artista di Ulassai, che ci
rappresenta nel mondo.
Ho
letto il libro durante le vacanze e l’ho letto tutto d’un fiato
perché il modo di raccontare della Signora Giuliana è semplice,
lineare, piacevole. E poiché tutti abbiamo “ una chiave di
lettura” di quel che leggiamo; per me la chiave è stata quella di
rispecchiarmi nel suo lavoro.
Generazioni
diverse, modi e stili di vita simili a simboleggiare che la
trasformazione della Sardegna dal punto di vista sociale e culturale
è veramente recente. Poiché il libro della Signora Giuliana è il
mio specchio (credo valga lo stesso per la maggior parte delle
lettrici e dei lettori), le soste durante la lettura sono dovute alla
grande emozione che suscita. Ricordi che si intrecciano con i miei
vissuti e con quelli che mi hanno raccontato genitori e nonni.
Vita
più umile la mia, ma simile nel suo fluire, nel ripetere giochi,
tradizioni, rituali. Vicina nell’avvicendarsi dei lavori nei campi,
nella modalità di trascorrere le vacanze nell’infanzia e
nell’adolescenza, così per gli spostamenti a cavallo o con i buoi,
così per i dissapori fra le famiglie.
Non
mi dilungo. Ma voglio citare uno dei racconti “La casa di sabbia”
ossia la casa delle vacanze estive. Per me è cambiato il mezzo di
locomozione ( il carro per lei, la macchina o il postale per me), ma
il primo mare è sempre Perd’e Pera. La casa è fatta di tende, i
servizi igienici sono tra i cespugli. Bagni di sabbia per le cure,
bagni in acqua con le donne di Ulassai (e di Foghesu, di Jerzu e
Gairo) che indossano lunghe gonne plissettate.
Non
c’era l’acqua nella casa improvvisata e mio padre doveva recarsi
al Monte de Ferru dove ci si poteva approvvigionare in una limpida
sorgente. Si diceva abitasse in quei luoghi un eremita e noi bambini
nutrivamo il grande sogno “incontrarlo”. Quando mio padre si
attardava, lo attendevo con ansia. Al suo arrivo gli chiedevo se
avesse visto quel signore che viveva isolato e quali sembianze
avesse. Tutto era intriso di grande magia.
Ringrazio
Signora Giuliana per averci regalato questo suo lavoro, ricco di
amore per i valori, quelli veri, per il forte attaccamento alla
terra, alla famiglia e alla comunità, alla conoscenza. È un libro
che tutti dovrebbero leggere. Come “Le Fiabe sarde” di Sergio
Atzori è adatto ai bambini dai tre ai novanta anni e più. In
particolare dovrebbe essere letto a scuola per la sua alta valenza
pedagogica, affinché i giovani possano scoprire il positivo della
nostra cultura.
“Mi
piacerebbe usare bene word”
il primo libro di Giuliana Lai, la
sorella della grande artista ogliastrina Maria Lai, di
Virginia Marci Presidente Pixel Multimedia
il primo libro di Giuliana Lai, la sorella della grande artista ogliastrina Maria Lai, di Virginia Marci Presidente Pixel Multimedia
Emerge
in “Mi piacerebbe usare bene word” il ritratto di una donna
semplice, che ama leggere, scrivere, ascoltare musica. Legata al suo
paese, all’Ogliastra e alla Sardegna. Ma anche frutto di una donna
aperta alle nuove esperienze, che ama il computer e viaggiare, cosa
che fa anche in età piuttosto avanzata.
Una
donna legata agli affetti e dedita alla cura della famiglia e di suo
marito Luigi. Il titolo “ Mi piacerebbe usare bene word “ trae
origine dalla sua ultima scoperta e passione, peraltro lodevole,
quella del software di videoscrittura che la facilita nello scrivere,
ordinare in modo pulito la raccolta dei propri preziosi ricordi.
Curioso però che per la prima stesura usi la matita a punta morbida,
dono della sorella Maria, celebre artista di Ulassai, che ci
rappresenta nel mondo.
Ho
letto il libro durante le vacanze e l’ho letto tutto d’un fiato
perché il modo di raccontare della Signora Giuliana è semplice,
lineare, piacevole. E poiché tutti abbiamo “ una chiave di
lettura” di quel che leggiamo; per me la chiave è stata quella di
rispecchiarmi nel suo lavoro.
Generazioni
diverse, modi e stili di vita simili a simboleggiare che la
trasformazione della Sardegna dal punto di vista sociale e culturale
è veramente recente. Poiché il libro della Signora Giuliana è il
mio specchio (credo valga lo stesso per la maggior parte delle
lettrici e dei lettori), le soste durante la lettura sono dovute alla
grande emozione che suscita. Ricordi che si intrecciano con i miei
vissuti e con quelli che mi hanno raccontato genitori e nonni.
Vita
più umile la mia, ma simile nel suo fluire, nel ripetere giochi,
tradizioni, rituali. Vicina nell’avvicendarsi dei lavori nei campi,
nella modalità di trascorrere le vacanze nell’infanzia e
nell’adolescenza, così per gli spostamenti a cavallo o con i buoi,
così per i dissapori fra le famiglie.
Non
mi dilungo. Ma voglio citare uno dei racconti “La casa di sabbia”
ossia la casa delle vacanze estive. Per me è cambiato il mezzo di
locomozione ( il carro per lei, la macchina o il postale per me), ma
il primo mare è sempre Perd’e Pera. La casa è fatta di tende, i
servizi igienici sono tra i cespugli. Bagni di sabbia per le cure,
bagni in acqua con le donne di Ulassai (e di Foghesu, di Jerzu e
Gairo) che indossano lunghe gonne plissettate.
Non
c’era l’acqua nella casa improvvisata e mio padre doveva recarsi
al Monte de Ferru dove ci si poteva approvvigionare in una limpida
sorgente. Si diceva abitasse in quei luoghi un eremita e noi bambini
nutrivamo il grande sogno “incontrarlo”. Quando mio padre si
attardava, lo attendevo con ansia. Al suo arrivo gli chiedevo se
avesse visto quel signore che viveva isolato e quali sembianze
avesse. Tutto era intriso di grande magia.
Ringrazio
Signora Giuliana per averci regalato questo suo lavoro, ricco di
amore per i valori, quelli veri, per il forte attaccamento alla
terra, alla famiglia e alla comunità, alla conoscenza. È un libro
che tutti dovrebbero leggere. Come “Le Fiabe sarde” di Sergio
Atzori è adatto ai bambini dai tre ai novanta anni e più. In
particolare dovrebbe essere letto a scuola per la sua alta valenza
pedagogica, affinché i giovani possano scoprire il positivo della
nostra cultura.
Perdasdefogu, 31 ottobre 2008
Biblioteca
comunale “Daniele Lai”
Presentazione
del libro Sardinia Blues di Flavio Soriga
Ed.
Bompiani
Virginia
Marci
Licheri,
Corda, Davide. Sono tre giovani sardi laureati, in attesa, (ma lo
cercano sul serio?) del loro primo lavoro che non arriva. Trascorrono
le loro giornate fra bar e discoteche di provincia, tutti sregati da
Dandy, una bellissima ragazza. Trascorrere le giornate estive libere
in una Sardegna che non è la Barbagia, ma neanche la Costa Smeralda
non è certamente facile e i tre amici per occupare il tempo e per
compiere azioni trasgressive rubano carte di identità in un piccolo
comune e entrano a forza nella casa del Conte di Santa Croce cercando
un testamento con cui l’anziano nomina la convivente polacca erede
universale. Un libro in cui irrompono altri bei personaggi: la
ballerina che ha lasciato Davide, il fidanzato di Dandy, il ramo
William, l’amante matura di Davide, Maria Elena, l’amica Elisa,
il pastore gay, il rock, il mare della Sardegna.
La
protagonista del romanzo è tuttavia la talassemia, la malattia che
accompagna Davide, sin dalla nascita. Malattia sviscerata, esaminata
e descritta dall’autore in maniera scientifica senza fare di
Davide una persona diversa. Anzi, al contrario, ne esalta la
diversità e non mancano accurate descrizioni di trasfusioni di
sangue, dettagliati racconti di incontri con medici, spesso privi di
umanità. Malattia descritta da Flavio Soriga come una sorta di
catarsi liberatoria.
Sardinia
Blues è anche altro. Racconta il disfacimento della famiglia. Il
padre di Davide ha lasciato la madre per una collega di quindici anni
più giovane. I tre amici non hanno punti di riferimento se non la
musica e le belle donne che fanno soffrire. Nessuno dei tre ha una
relazione amorosa stabile, sicura e le donne sono sfuggenti, sicure,
sballate di coca, vogliose di fare sesso. L’amore, se non quello
della madre per Davide, manca in questo romanzo che presenta una
trama narrativa corposa e ben articolata perché se numerosi sono i
personaggi e le situazioni tratteggiati, lo scrittore riesce a tenere
desta l’attenzione del lettore sia pure affrontando diversi temi.
“Sardinia
blues” è un romanzo innovativo, per lo stile narrativo, uno stile
molto diverso dai precedenti romanzi di Flavio Soriga. Basti pensare
al finale, originale e inaspettato, del libro che riesce a coniugare
diverse vicende personali sullo sfondo del mare pulito di una
Sardegna amata, in maniera assoluta, dallo scrittore.
PROSSIMAMENTE A PERDASDEFOGU
Il
Delitto d’onore in Sardegna (La storia di Irene Biolchini) ,
Simonetta Delussu – Ed. La Riflessione
di
Francesca Lai
Perdasdefogu, 17 novembre 2007
Biblioteca
comunale “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Francesco Casula“Marianna
Bussalai” Edizioni Alfa – 2007 Virginia Marci
A nome dell’amministrazione comunale, porgo
il cordiale benvenuto ai miei compaesani e ai numerosi ospiti che, pur con
difficoltà, hanno raggiunto Perdasdefogu per partecipare alla manifestazione “I
sabati del messaggio”- giunta alla dodicesima edizione. Un saluto particolare è
dedicato ai cittadini di Orani e al loro sindaco Franco Pinna, concittadini di
Marianna Bussalai che ricordiamo a sessant’anni dalla sua prematura scomparsa, in occasione
della presentazione del libro “Marianna
Bussalai” di Francesco Casula – Collana Omines e feminas de cabale della Alfa
Editrice.
Con l’autore ringrazio i relatori: Bastiana
Madau, critica letteraria – editor della Ilisso di Nuoro; Franca Marcialis
insegnante- scrittrice; Maria Antonietta
Mongiu neo-assessore regionale alla Cultura e alla Pubblica Istruzione alla
quale facciamo gli auguri di buon lavoro perché la Sardegna ha bisogno di tanta
cultura e tanta istruzione.
Questo importante incontro, come già detto, è
dedicato a Marianna Bussalai, intellettuale sardista, grande antifascista di
Orani, personaggio poco conosciuto della storia e della cultura della Sardegna
e ignorato dalla “grande storia”. Il sindaco di Orani sostiene la necessità di
sottrarre al silenzio Marianna Bussalai. Concordo con lui e aggiungo: occorre
sottrarre alla dimenticanza tutte le figure cosiddette minori …. che pure fanno
la storia.
Il lavoro di Francesco Casula è lodevole proprio
perché dà voce a chi altrimenti resterebbe senza. Consente di approfondire la
conoscenza di questo personaggio, così splendido, che con il suo esempio può senza
dubbio illuminare tutti, ma soprattutto può illuminare i politici e la politica
di oggi.
Marianna, donna schiva, autodidatta,
coltissima è infatti un esempio per tutti, in particolare lo è per i giovani e
le donne. Colpisce per la sua condizione di vita e per la sua ricca attività di scrittrice.
La sua è una vita trascorsa interamente ad
Orani a causa di una grave malattia che ha minato il suo fisico. Nel suo paese
natale, scrive tantissimo in italiano e in sardo. Traduce dal sardo le poesie
di Montanaru e ha l’ambizione di tradurre la Divina commedia in sardo per i sardi
che non conoscono l’italiano.
Marianna è, almeno per me, un grande esempio soprattutto per “la sua azione politica”. Nonostante la
stretta sorveglianza della polizia fascista, tra gli anni venti e quaranta, fu
il riferimento del sardismo clandestino del nuorese; mantenne costanti i
rapporti con Lussu e Giacobbe. La sua casa fu rifugio e luogo di incontri
clandestini.
Marianna, sardista convinta, intellettuale
curiosa, è nel suo agire politico determinata, critica, autonoma e anche
disubbidiente. Non aveva padrini. Insomma quando fu necessario, si oppose anche
ad Emilio Lussu. Questo è sicuramente un aspetto importante e insieme attraente
della personalità di questa donna, che deve guidare, uomini e donne,
nell’impegno dentro le istituzioni.
Il mio augurio è che, le donne come lei possano avere voce e
spazio, nei partiti, nelle istituzioni nei luoghi di decisione e in ogni ambito
della vita attiva.
Di lei una giovane studiosa ha scritto queste
parole che leggo perché efficaci nella loro semplicità e è perché rivelano le notevoli
capacità pedagogiche di Marianna: “Ringrazio Marianna per avermi trasmesso
l’orgoglio di essere donna, di essere sarda, per avermi trasmesso l’amore per
la cultura, la forza per affrontare le avversità, la caparbietà di vincere
l’isolamento, la lucidità nel giudicare gli eventi, la dedizione totale per una
causa, la volontà di restare nell’ombra, la forza di resistere alle lusinghe….”
Il resto lo trascuro è sufficiente così.
Perdasdefogu, 10 giugno 1999
Chiesa
Pre romanica “Sab Sebastiano”
Presentazione
del libro di Giacomo Mameli
“La
squadra”-
Undici
giocatori-imprenditori e una
riserva
-
Edizioni
Cuec, Cagliari –1999
Virginia
Marci
Lettera
aperta
Siamo
qui, numerosi, per il piacere di esprimere il nostro affetto, il
nostro calore e la nostra stima a te Giacomo.
Tanti
fra noi credo lo volessero fare personalmente e in silenzio ma la
pubblicazione del tuo libro “La
squadra”-
Undici
giocatori-imprenditori e una
riserva
- ci
da l’opportunità di farlo in comune e con altrettanta discrezione,
in questo splendido luogo, che tanta intimità e raccoglimento
ispira. Grazie
Giacomo.
Il
tuo libro è molto piacevole e si presta ad essere letto da un
pubblico vasto.
L’economista,
il sociologo troverebbero spunti e materiali per le loro analisi per
sottolineare lo sviluppo sociale ed economico della nostra isola a
partire dal secondo dopoguerra.
L’antropologo
e lo storico troverebbero elementi per evidenziare il “mutamento
positivo” che si è prodotto nell’atteggiamento di rassegnazione
tipico di noi isolani. E si potrebbe parlare di storie familiari, di
emigrazione e di disagio…
Perché
gli atleti della tua squadra, i protagonisti di questo lavoro, sono
persone comuni, sono contadini, domestiche, minatori, emigrati, sono
giocatori che hanno amato scendere in campo e che stanno alle regole
per poter restare e vincere.
Zia
Michela e Maurissa, rispettivamente di Orosei e Bitti, hanno una
storia semplice di donne, che hanno faticato e valorizzato il saper
fare
che da sempre appartiene alle donne di Baronia e Barbagia.
Fanno
ospitalità e dolci di qualità e il loro nome fa il giro del mondo.
Chi l’avrebbe per zia Michela, che io conosco e che in gioventù ha
fatto la domestica e ancora veste il nero delle donne dei paesi!
Per
non parlare del panettiere di Pula, del viticoltore di Serdiana e dei
Cosseddu, produttori di olio a Seneghe.
Tutti
fanno un mestiere semplice ma con grande maestria e dedizione e,
tutti- per usare un termine che piace a te Giacomo- sanno coniugare
la tradizione con l’innovazione e così possono stare… E non
hanno tempo per rispondere alle domande di un uomo caparbio che vuole
raccontare storie vere e positive (che altrimenti resterebbero
sconosciute ai più), di un uomo che non ha la presunzione di fare
analisi ma la bontà di darci messaggi incoraggianti in questa realtà
che abbonda di pessimismo e rassegnazione.
Anch’io
ho aspettato che tu Giacomo terminassi il lavoro. E dico che ho
aspettato troppo perché il libro si legge tutto d’un fiato e non
colma la sete…..perchè è bellissimo….perchè l’autore è
bravissimo.
Perché
chi come te riesce a scrivere di storia, di sociologia, di economia
in modo semplice così da essere letto da me come da mio padre, oggi
ottantenne, è scrittore
vero.
A
te la penna, come a Zio Celestino (lui per tutti) la terra, non ti
tradisce mai. Is fueddus, o
is
paraulas,
non ti mancano… Sei un vero comunicatore. Per me soprattutto di
penna.
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
CARE
RAGAZZE di Vittoria Franco – Donzelli ed.
San
sperate, novembre 2010
Virginia
Marci
Ha
il pregio della spontaneità e della forza comunicativa il libro di Vittoria
Franco, “Care ragazze”, pubblicato nella
collana Saggine, dall'editore Donzelli.
Docente
di Storia della Filosofia alla Normale di Pisa e parlamentare dal 2001,
Vittoria Franco si occupa da lungo tempo, con impegno serio e costante, dei
temi legati alla condizione femminile.
Il
saggio ricostruisce, con sapienza e perizia, alcuni dei passaggi cruciali che
hanno contrassegnato la storia della conquista delle libertà femminili.
Colpisce la leggerezza dell'impianto narrativo, a fronte di una meticolosa e
ben selezionata documentazione del cammino faticoso delle donne verso
l’orizzonte della democrazia paritaria.
Ma
risalta anche il desiderio dell'autrice, sempre attivo negli anni, di un
confronto con la materia, in una dialettica che intreccia memoria del passato e
attese del futuro.
Se
è vero, infatti, che le donne sono riuscite a conquistare diritti fondamentali,
resta sempre aperta la questione che riguarda l'esercizio di questi diritti in
una società che esprime ancora forti resistenze alla loro piena applicazione,
in particolare nell'ambito della politica.
Il
saggio ha perciò il merito di stimolare le lettrici e i lettori ad interrogarsi su questioni non
superate e che richiamano peraltro diritti
richiamati dalla nostra Costituzione repubblicana quali: “E’ possibile rimuovere definitivamente gli
ostacoli di ordine legale, economico, politico, sociale e culturale che ancora
compromettono un pari godimento di diritti tra uomini e donne?”; “Come sradicare forme persistenti di violenza
che suggeriscono di non considerare ovvi e mai definitivi neppure gli esiti più
felici di quelle lotte?”.
Con
tutta evidenza, affiora dalle pagine di Vittoria Franco la raccomandazione a
non dimenticare che quelle libertà e quei diritti sono il frutto di lunghe
lotte e sacrifici, non sono diritti naturali inalterabili e, perciò, non sono
acquisiti per sempre.
Molti,
allora, gli elementi offerti dal testo per una riflessione lucida
sull'emancipazione femminile, attraverso l'esperienza di donne straordinarie
come Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft, Harriet Taylor, Luce Irigaray, Carol
Gilligan, Hannah Arendt, e tante altre, artefici del cambiamento in nome della
dignità e del principio inalienabile dell'autodeterminazione della donna.
Un
promemoria sui tanti traguardi raggiunti, ma anche sui nuovi spazi da
conquistare, sulle cittadelle da espugnare, sulle leggi urgenti (invece ferme
in Parlamento) che renderebbero più compiuta, una volta approvate, la
democrazia paritaria.
E'
un libro sui valori, per ritrovare "il senso di una cultura femminile che
- come ricorda l'autrice nella prefazione al testo - produce talento, coscienza
critica, autostima e cognizione delle proprie capacità".
«Care ragazze, ho incontrato tante di voi, in
circostanze e luoghi diversi: nelle scuole, nelle università, nei partiti,
nelle associazioni. Alcune entusiaste e consapevoli, altre sfiduciate, dal
futuro incerto, rassegnate. Altre ancora desiderose di affermarsi, di superare
ogni ostacolo pur di realizzare i propri progetti di vita…». È per loro che
Vittoria Franco stila un promemoria delle libertà femminili conquistate dalla
sua generazione, e l’intento è tutto rivolto al presente e al futuro di chi a
quelle lotte non ha partecipato: ricordare che la libertà e i diritti delle
donne non sono acquisiti una volta per tutte, e che l’impossibilità di praticarli
fino in fondo li rende lettera morta fino a farli scomparire. Scoprire
l’esperienza di donne che hanno lottato duramente per conquiste che oggi si
danno per scontate; sapere che prima del 1974 in Italia non era
possibile divorziare, che prima del 1978 l’aborto era illegale; che fino al
1975 la donna era sotto tutela del padre, del fratello o del marito e non aveva
neanche diritto all’eredità; che prima del 1996 la violenza sessuale era un
delitto contro la morale e non contro la persona: tutto questo serve come
monito a non tornare a una concezione proprietaria della donna e a contrastare
i tentativi di ricacciarla nei ruoli tradizionali e consueti. È vero, oggi le
ragazze occupano la scena pubblica,ma è solo quella delle immagini televisive,
che distorce la libertà e favorisce la mercificazione del corpo. Ecco, dunque,
un promemoria dei tanti passi che le donne hanno fatto, ma soprattutto dei
tanti ancora da fare, quelli decisivi per una reale parità e una cooperazione
con gli uomini nella costruzione di una democrazia effettiva.
Bisognerebbe portarlo sempre con sé
questo “promemoria” di Vittoria Franco - docente di filosofia alla Normale di
Pisa, senatrice del Pd e per lungo tempo responsabile delle Pari Opportunità
per i democratici. Certo è molto di più di un “bignami” della storia
delle conquiste femminili. Un mini saggio ricco e documentato da centellinare
ma nello stesso tempo una lettera appassionata da leggere tutta di un fiato. Un
appello intenso rivolto a tutto il mondo femminile. Quasi una chiamata alle
armi. In Italia, le donne sono più brave negli studi ma faticano a occupare
posti di rilievo nel mercato del lavoro. Il merito, da solo, sembra un concetto
in via di estinzione, valido solo se accompagnato dalla bellezza. E assistiamo
a un ritorno al sessismo ostile alle donne preparate e autorevoli che rifiutano
lo stereotipo di “ornamento”.
Certo sono le ragazze a correre i rischi maggiori. Lo ha detto a Job24.it qualche mese fa Rosa Oliva- la proto femminista che nel 1960 riuscì a far abolire dalla Corte costituzionale le discriminazioni di genere nelle cariche pubbliche- ”le più giovani danno per scontate molte cose, dimenticando la fatica per ottenere conquiste, diritti. E' facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia”.
Ed è proprio quello che si propone di fare Vittoria Franco con libro “Care ragazze- Un promemoria”. Raccontare a chi non sa. Ricordare a chi ha dimenticato. Perché bisogna avere sempre chiara la consapevolezza che “i diritti delle donne non sono stati dati per natura ma rappresentano il frutto delle lotte di diverse generazioni.
Certo sono le ragazze a correre i rischi maggiori. Lo ha detto a Job24.it qualche mese fa Rosa Oliva- la proto femminista che nel 1960 riuscì a far abolire dalla Corte costituzionale le discriminazioni di genere nelle cariche pubbliche- ”le più giovani danno per scontate molte cose, dimenticando la fatica per ottenere conquiste, diritti. E' facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia”.
Ed è proprio quello che si propone di fare Vittoria Franco con libro “Care ragazze- Un promemoria”. Raccontare a chi non sa. Ricordare a chi ha dimenticato. Perché bisogna avere sempre chiara la consapevolezza che “i diritti delle donne non sono stati dati per natura ma rappresentano il frutto delle lotte di diverse generazioni.
E,
soprattutto, si possono anche perdere”.
Perdasdefogu, 23 luglio 2012
Biblioteca comunale “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Michela Murgia
L’Incontro
Virginia Marci
L’INCONTRO
Anche io ringrazio Michela per essere
qui con noi.
Pensando al modo con cui interagiamo
noi frequentatori dei social-network dicendomi che su MICHELA e il suo ultimo lavoro L’INCONTRO avrei
clikkato tante volte MI PIACE.
Più precisamente MI PIACE, PERCHE’
Michela mi piace innanzitutto perché
donna, persona capace, competente, caparbia e determinata. Donna che ama la sua
terra, la sua cultura e la sua tradizione facendola conoscere nel mondo attraverso i
suoi scritti, filtrando la realtà locale con l’esperienza, con L’INCONTRO, LO
SCONTRO, LO SCAMBIO con culture diverse.
Michela MI PIACE, PERCHE’
Donna credente ma non bigotta, come si
dice di tanti e tante che frequentano la Chiesa , e per questo capace di metterne in
discussione le figure di riferimento e gli assetti del potere ecclesiatico.
MI PIACE, PERCHE’ la sua scrittura nitida, essenziale,
descrittiva e densa di emozioni ha avuto il pregio di riportami indietro di
parecchi anni.
Le corse di Maurizio (che trascorre le
vacanze a Crabas dai nonni mentre i genitori sono impegnati nel lavoro in una
località poco distante) con Giulio e Franco sono le mie. Crabas è Foghesu di
tanti anni fa. Foghesu che io ho avuto la fortuna di conoscere “Quando ….al calar del sole “i vecchi uscivano
dalle loro case come lumache sotto la pioggia" a raccontare storie di
vita, a raccontare del passato e del
quotidiano..
Ho ripercorso le serate trascorse
vicino ai miei genitori e i miei nonni quando quasi atterrita ascoltavo storie che non capivo fossero reali
o fantastiche. E quando diventavano piccanti e dicevano non si podidi nai
perché c’è la bambina….. facevo finta di dormire.
Le avventure dei tre amici, le loro
paure, le loro ansie, il bisogno di
affermare se stessi le ho vissute come mie e come delle amiche di allora,
Giulia, Marinella, Chiara.
Non ho dato fuoco ai topi ma volendo
omaggiare mia madre, colgo a sa muragessa un’arancia e gliela porto. Visto che i
miei non possedevano un albero di arancio….. ha capito e mi ha lanciato un
bastone., che solo la mia agilità aveva potuto scansare. Si perché in casa il
Furto è considerato un atto grave.
Questa è la ricchezza del viver
paesano, che mi porto dentro, che Michela si porta dentro, che noi ci portiamo
dentro anche quando SIAMO FUORI.
Il mondo di Foghesu e di Crabas che è in me e in noi e dal quale
nessuno ci può sottrarre.
MI PIACE, Michela PERCHE’ con questo
breve romanzo o racconto (non importa) ci offre una storia semplice ma non
banale, dove intreccia alla quotidianità spicciola di una banda di ragazzini,
lo spessore denso e mai scontato dell’appartenere a qualcosa.
E questo è importante… perché Michela
si interroga sui meccanismi con cui si costruisce o si disgrega l’identità di
una comunità.
MI PIACE, PERCHE’ ripropone temi forti (presenti in altri suoi lavori come
Accabadora) che richiamano il concetto
di famiglia non come legame di sangue (senza dubbio importante) ma come
concetto più ampio qual è il vivere con i nonni (perché in genitori sono fuori
per motivi di lavoro) qual è il vivere de sa figlia de anima o filgiu (o
dell’adozione) genera un legame intimamente più forte, un amore
incondizionato, da quello imposto dal
vincolo del sangue.
MI
PIACE….. PERCHE’
Michela
è stata capace di sorprendermi. Inizialmente ho pensato che il titolo
“L’INCONTRO” replicasse le molteplici occasioni di incontro che offre il
periodo estivo (che pure sono presenti
nel racconto). Scopro che L’INCONTRO è
anche il culmine della processione pasquale quando Maria incontra suo figlio
risorto. Ma a Crabas questo avviene in un clima infuocato perché la nascita di
una nuova parrocchia quella del Sacro Cuore deve competere con l’unica presente
quella di Santa Maria. Due chiese, due parrocci, due squadre di chierichetti e
il Monsignore che si contendono il territorio che altro non è che il Potere e
che Potere. Noi e loro.
MI
PIACE, PERCHE’
Nell'INCONTRO
fra la "guerra del cuore" e la
fantasia dei ragazzi si risolve il
finale di questa esile trama, con una sorpresa che fa pensare (deformazione
professionale): e se fossero i ragazzi gli unici capaci di risolvere le
conflittualità dei grandi?
ASCOLTIAMOLI.
Biblioteca comunale “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Giacomo Mameli “Sardo
Sono”
Edizioni Cuec, Cagliari – 2012
Virginia Marci Presidente Associazione Pixel Multimedia
“Sardo
Sono”, la nuova fatica di Giacomo Mameli, dovrebbe essere venduto
nelle parafarmacie come attivatore di riflessioni” sostiene Lilli
Pruna, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro
all’Università di Cagliari.
Condivido
e aggiungo. E’ un libro che dovrebbe essere distribuito
capillarmente nelle scuole per motivare i nostri giovani, scoraggiati
da un sistema scuola avulso dal contesto sociale e da un mercato del
lavoro che non offre prospettive; per attivare i nostri giovani,
disorientati da una società incapace di premiare il merito; confusi
da una società che non compete e che ci fa sentire in costante
situazione di inferiorità nello scenario internazionale dove la
Sardegna si presenta con un tasso di dispersione scolastica tra i più
elevati d’Italia e di un correlato dato sulla disoccupazione
giovanile piuttosto preoccupante. Tra i giovani -più di uno su due
non lavora e quando lavora lo fa con uno dei tanti contratti atipici,
proliferati in questi ultimi anni, che fanno del giovane un precario
regolarizzato e che per questa sua condizione non può investire in
un proprio progetto di vita (personale e lavorativo).
Giacomo
Mameli pone in risalto e loda le
competenze dei protagonisti. Buone competenze si raggiungono se si ha
un buon grado di istruzione. Ma la Sardegna, come il resto d’Italia
– Meridione in testa, detiene un triste record, quello della bassa
scolarizzazione. I dati Istat evidenziano che tra i giovani sardi
-nella fascia d’età compresa tra i 15-25 anni- il 56% ha
conseguito solo la licenza media, il 10% ha la sola licenza
elementare, i laureati sono un’élite ristretta.
Il
quadro è ancor più grave se si considera che la nostra società non
investe sui giovani, non investe in chi raggiunge elevate competenze,
non offre a tutti l’opportunità di formarsi e di essere premiati
su base meritocratica. Merito inteso nella sua accezione più ampia
quella di pari opportunità per
tutti. E’ bene specificare. Che
merito avrebbe infatti il figlio di un medico, che a sua volta
intraprende la stessa carriera…. sfruttando una rendita di
posizione (uno studio avviato per esempio)? Rendita che non hanno né
il figlio del pastore né del contadino tanto per citare alcune fasce
della popolazione attiva.
A
tal proposito cito Giovanni Razzu, sardo a Downing Street-
“Meritocrazia questa sconosciuta” (ma non nella sua esperienza
evidentemente).
Razzu,
con molta onestà ammette che semplicemente, spesso, “l’opportunità
dipende soprattutto dalle risorse finanziarie”. Non per questo
sminuisce il valore della meritocrazia: “Il
talento e il merito –scrive infatti- rappresentano le uniche fonti
legittime di diseguaglianza delle opportunità a disposizione degli
individui, il resto dovrebbe essere reso nullo. Questo è un punto
forse sorprendente per molti: la meritocrazia è un principio
egualitario alquanto forte che richiede sostanziali interventi
statali per rendere nulle le fonti di disuguaglianza che non siano il
talento e l’impegno!” (pp. 241-242).
Razzu
emigra e ha successo. Perché? Perché il talento e l’impegno trova
terreno fertile nel Regno Unito mentre la Sardegna (attanagliata da
una crisi senza precedenti) non ha le condizioni per poter competere
e promuovere lo sviluppo dei talenti. Ha una burocrazia che
paralizza, un processo di industrializzazione fallito, un sistema
fiscale pesante, ecc.
Come
scrive lo stesso Giacomo, la nostra Sardegna è incapace di far stare
il reddito in casa propria, di utilizzare le opportunità finanziarie
offerte dall’Europa. E’ una terra che risente di un sistema
scuola al collasso. E questo è il danno maggiore. La nostra società
non investe abbastanza in cultura e in istruzione. E per questo non
riesce a far emergere le capacità. Perché tanta incapacità?
Nel
libro di Giacomo “Sardo sono” sono contenute storie di donne e
uomini competenti, di piccole e medie aziende all’avanguardia in
vari campi (dall’informazione, alla ricerca scientifica, alla green
economy) affermatisi in Sardegna e a livello internazionale. Ma
queste sono poche, sono una élite o per citare un suo libro
precedente sono delle eccezioni.
La
stessa domanda “Perché tanta incapacità?” -che Giacomo pone e
si pone- sin dall’introduzione giro ai rappresentanti istituzionali
(Diana e La Spisa) dai quali, pur da posizioni diverse, con una
propria chiave di lettura unita al senso di responsabilità che
l’agire politico contempla, ci attendiamo una risposta.
Forse
anche un mea culpa, che non riferisco a loro come singoli, ma
all’intera classe dirigente che mi auguro voglia invertire la rotta
per salvare la nostra Sardegna, ormai in agonia.
Perdasdefogu, 8 agosto 2009
Biblioteca
comunale “Daniele Lai”
Presentazione
del libro di Bachisio Floris “Nùoro forever”
Edizioni
Cuec, Cagliari – 2009
Virginia
Marci, Presidente Associazione Pixel Multimedia
“Nùoro forever” è la prima fatica letteraria
di Bachisio Floris. Ho avuto modo di leggere
in anteprima qualche capitolo di “Nùoro forever”, pubblicati da SARDINEWS,
mensile di informazione socio-economica diretto dal giornalista-scrittore
Giacomo Mameli. Ricordo in particolare quello pubblicato nel mese di dicembre
2008..... quello dell’ultimo esame prima della tesi “Prima di Bonorva c’era uno
slargo con una fontana”. L’ultimo esame è un incubo per tutti gli studenti
universitari, lo fu anche per me.
Ho poi letto l’opera
completa, “Nùoro forever”: l’ho letta tutto
d’un fiato perché, pagina dopo pagina,
andavo scoprendo che le storie non erano solo “nuoresi”; erano attrattive
anche per chi era non era nato sotto il
Monte Ortobene. In quelle pagine si
scorgeva una Sardegna bella e sconosciuta, che spronava nella lettura.
Il piacere e grande
emozione della lettura erano suscitati anche dallo stile letterario snello con il
quale è raccontata con grande maestria la vita di ogni giorno, in una Nuoro
della seconda metà del secolo scorso. Scene di semplice quotidianità, che la
memoria non cancella e l’autore, nel raccontarle, rivive con una intensità
davvero coinvolgente.
“Nùoro forever”
è opera autobiografica. Vi sono descritti in modo impareggiabile,
letterariamente perfetto, il tempo, i personaggi, i luoghi, le situazioni dell’adolescenza
e della giovinezza di Bachisio
Floris, studente a Nuoro, poi a
Roma e a Sassari e l’età adulta, bancario a Roma. Vi troviamo gli amici del Coro di Nuoro, la
storia della colomba di Gonario, la morte dell’amico, le avventure estive e gli
amori mai consumati o interrotti. L’opera è un concentrato di vita comunitaria,
in una Nuoro, patria di Grazia Deledda e Salvatore Satta, incantatrice, bella,
semplice, strana; una città, dalla quale
ti allontani con amarezza e che ritrovi con infinito stupore.
Emerge da “Nùoro
forever”, mi pare, l’idea che per
l’autore “essere nuorese” è un onore, un vanto, un modo d’essere. Sentimenti che
accompagnano tutta la vita. Sensazioni che contagiano il lettore. La fatica di
Floris è un atto d’amore per la sua città e la sua terra; un attaccamento senza miti, riconsiderato
alla luce di esperienze vissute fuori dalla Sardegna, che gli sono servite per
dare valore aggiunto alle proprie radici. Perché così deve essere l’amore per
il proprio paese, se autentico.
Questo bel lavoro
è solo l’inizio. Auspichiamo che dottor Floris, scrittore e non più bancario,
voglia regalare ai suoi lettori nuove pagine e favorire la conoscenza di un
mondo ancora non sufficientemente esplorato.
PERDASDEFOGU, 26 LUGLIO 2008 PIAZZA PEPPINO FIORI
Presentazione del
libro di Giacomo Mameli
“La Sardegna di dentro, la
Sardegna di fuori”
Cagliari, Ed. Cuec - 2008
Virginia Marci – Presidente Associazione Pixel Multimedia
Il nuovo lavoro di Giacomo “La Sardegna
di dentro, La Sardegna
di fuori”- è un’opera in due volumi raccolti in un bel cofanetto della Casa
editrice CUEC di Cagliari. Introduzioni illustri: una di Remo Bodei, filosofo sardo americano, insegna all’università di Los
Angeles e l’altra di Giovanni Floris,
giornalista-scrittore, padre nuorese, conosciuto al grande pubblico per la
conduzione di Ballarò (avremo il piacere di averlo nostro ospite a breve).
“La
Sardegna di dentro, La Sardegna di fuori”-pubblicato quattro settimane
fa è già alla seconda edizione (lo comunico anche all’autore che non lo sa).
Giacomo,
con questo nuovo lavoro, riprende il filone che lo ha visto esordire, come
ricorderete, più di nove anni fa con “La squadra – Undici calciatori e una
riserva” (la riserva è Celestrino Demontis). Riprende dopo la felice parentesi
di “La ghianda è una ciliegia”, che ci fatto svelato un Giacomo narratore
attento, che dà voce ai suoi compaesani, “ai senza voce”, che hanno vissuto la
tragedia della seconda guerra mondiale, dimostrando come le loro piccole storie
possono diventare la grande Storia. E così una piccola comunità come la nostra
si è posta all’attenzione degli studiosi e della cronaca nazionali. Numerosi i riconoscimenti
ottenuti, ultimo quello tributato a Roma, al Campidoglio.
C’è in questo libro la Sardegna amata dai
botanici tedeschi, la
Sardegna che salvaguarda le tradizioni ma che si sa proiettare
nell’oggi e nel futuro con intelligenza. Certo c’è anche la Sardegna che si spopola,
che rischia di perdere i suoi paesi, ma che comunque “ E….pur si muove”, per
parafrasare il celebre libro del nostro ospite Professor Gianfranco Bottazzi,
docente di Sociologia alla prestigiosa facoltà di Scienze poliche di Cagliari.
“Una Sardegna
meno nota, come dice Remo Bodei nell’introduzione al primo volume, che procurerà al lettore molte sorprese e gli farà
intuire stili di vita, memorie e aspettative dei suoi abitanti."
Nel secondo volume sono presentati i sardi “di
fuori” – la diaspora. I sardi che si sono affermati altrove, in continente e
nel mondo e che altrove vivono bene. Come Gigi Pirarba, nato a Perdasdefogu, a
S’Orgioledda artista doppiatore di attori famosi e Lia Lai, figlia di Benito e
Cesira Demontis, infermiera in California, nata tra gli ulivi di Maraidda.
Nell’ultima parte del libro alcuni hanno scritto
sul tema “La Sardegna
che vedo, la Sardegna
che vorrei”. Emerge dalle loro dichiarazioni una Sardegna che – ovviamente –
tutti amano ma che tutti vorrebbero più aperta al mondo, più rispettosa delle
diversità. Vorrebbero una Sardegna che rispetta la natura e le tradizioni. Una
Sardegna più intraprendente. Quel che colpisce, e forse, sfata una credenza
comune è che non hanno, almeno non tutti, intenzione di tornare e lo dicono
senza rimpianti.
Per questo le parole di Giovanni
Floris mi sembrano quanto mai appropriate "Il lavoro di Giacomo Mameli si
concentra in profondità sulle radici, ma
lo scavo nella tradizione sarda, non si esaurisce mai in sterile celebrazione,
diventando piuttosto un metodo universale di conoscenza del reale."
Perdasdefogu, 21
aprile 2007- Biblioteca “Daniele Lai”
Presentazione del
libro di Giacomo Mameli
Donne sarde. Protagoniste nel lavoro e nelle professioni
Cagliari, Cuec, 2006
Virginia Marci – Presidente Associazione Pixel Multimedia
Il libro di Giacomo Mameli “Donne sarde. Protagoniste nel lavoro e
nelle professioni” racchiude 43 articoli pubblicati sulla Nuova Sardegna
nella rubrica “Persone e paesi” e
nelle pagine culturali. In questo lavoro ci sono cronache di malessere, storie
di piccole imprenditrici e imprenditori e tanta cultura. Storie semplici, scritte con passione, con grande abilità. Ma ci sono soprattutto storie di donne, donne che
contribuiscono a cambiare il volto della Sardegna. E’ significativo che il
libro si chiuda con la testimonianza di Pina Paola Monni, una ragazza
“normale”, che ha spezzato il muro dell’omertà.
Giacomo racconta le storie di
queste donne senza stupirsi. Non si
sorprende - come molti fanno quando descrivono le imprese delle donne - che siano
riuscite a realizzare impresa, a creare lavoro e reddito in territori non facili.
Non si meraviglia, piuttosto se ne appassiona. Come si appassiona sinceramente alle vicende di tutti coloro – uomini e
donne – che hanno idee e le realizzano.
In tutti i libri di Giacomo traspare
l’ammirazione per la gente che si impegna, si ingegna, studia, impara, osserva,
rischia: l’ammirazione per le persone
che fanno. “Fare” come sinonimo
di lavorare, di produrre, ma molto di più: avere valori, ideali e un’idea di
progresso.
La gente a cui ha dato voce è
tutta gente consapevole dei problemi del
proprio territorio. Non c’è storia in cui non venga espressa qualche amara e
realistica considerazione sul deterioramento delle condizioni di vita delle
comunità locali, a cominciare dalle condizioni
materiali: le abitazioni, l’ambiente, oggetto di critica e di studio di
Donatella Murtas, l’architetto sardo-piemontese con casa a Dolianova.
Ma il deterioramento è anche delle
condizioni immateriali di vita: qualità
dei rapporti sociali e con le istituzioni, capacità di collaborare, di
identificarsi in un progetto collettivo, di avere fiducia negli altri e nelle
istituzioni (che, è pur vero, debbono guadagnarsela).
Le donne di cui Giacomo racconta
le vicende sono persone che decidono di “fare” in un’ottica collettiva, per reagire alla rassegnazione delle comunità
locali, all’incapacità di intravedere un futuro migliore.
Sono tutte donne che reagiscono
allo spopolamento dei paesi, alla crisi economica, alla mancanza di prospettive
di sviluppo, ma non per se stesse, piuttosto con l’intento di essere utili alla comunità cui appartengono.
Non per salvarsi da sole, ma per contribuire a sostenere tutti. E’ un intento
esplicito: “Volevo reagire, dire anche
qui si può far qualcosa”, racconta Elena Soddu, che a Benetutti (SS) fonda
negli anni settanta la Marben
(Maglieria artigiana Benetutti), che ha prodotto per le più grandi firme
italiane ed è arrivata ad avere quarantacinque addetti, anche se ora sono scesi
a quindici. Oggi, il rammarico di questa imprenditrice è di non essere “in grado
di garantire nuovo lavoro”. Sono pensieri che balenano in molte teste. Succede ad esempio ad Ulassai, un piccolo
centro dell’interno, in Ogliastra. Dove la sfida si gioca soprattutto sulle
mani, le mani produttive di sette donne,
guidate da Maria Serrau, che portano
reddito nelle famiglie intrecciando lino
e cotone e lane, che creano tappeti e tutto ciò che occorre per rendere
accogliente una casa, impreziositi dai disegni di Maria Lai, la più grande
artista vivente.
Nel Sulcis-Iglesiente, un gruppo
di donne inventa il circuito delle Domus
amigas (trenta case con sei posti letto ciascuna, disseminate nei territori
di quattordici comuni, che offrono duecento posti letto), partendo da una
domanda: “che cosa possiamo proporre di concreto
per il futuro dei nostri figli?”.
Con la chiusura delle miniere,
questo territorio ha perduto tanto in termini di occupazione, reddito, identità e
spirito comunitario. Ciò che guadagnerà dallo smantellamento di un’attività
industriale non è ancora chiaro, occorre confidare sul parco geominerario. L’obiettivo
delle Domus amigas è esplicitamente
quello di “dare senso a una comunità
dove si possa stare bene tutti e non solo alcuni”. Un intervento di
sviluppo locale che non inquina (l’attenzione all’ambiente non può mancare in
chi si preoccupa del futuro) e che “crea reddito diffuso, non per pochi
privilegiati”.
Lavori spesso molto duri (come quello di Rosina Mameli di
Barisardo, quattro figli, “che ha iniziato a fare pulizie da sola” e oggi ha
cinquanta dipendenti part-time, cinque a tempo pieno, si occupa di pulizie ma
anche di mense scolastiche e aziendali, e perfino di servizi di salvataggio a
mare; ma diversamente intensi e
impegnativi (come quello di Cristina Collu, direttore del MAN di Nuoro). Le
storie esemplari raccontate da Giacomo ci ricordano che esistono nelle
aspirazioni delle persone anche mestieri
che non fanno diventare ricchi, ma consentono di vivere bene, di essere
soddisfatti delle proprie capacità di fare.
Questo libro di Giacomo, come gli
altri già pubblicati, è un inno all’istruzione, allo studio,
alla conoscenza, alla crescita individuale. Chi ha studiato ne trae sempre
vantaggio, chi non l’ha fatto rimpiange di non avere studiato.
E’ suggestiva e credo anche
realistica l’immagine della Sardegna in cui “si avverte una presenza femminile vivace, nelle arti e nei mestieri”.
In effetti, le donne nel mercato del lavoro sono sempre più numerose, in forme
diverse, malgrado il mercato del lavoro sia tuttora un ambiente maschile.
L’organizzazione del lavoro è
maschile, perché è nata con l’industria pesante e non è facile cambiarla. Sono
proprio le modalità organizzative impostate in larga prevalenza su un modello
maschile ad ostacolare la partecipazione femminile al lavoro.
Nella prefazione Giacomo scrive:
“Sembra di capire che tra qualche anno la Sardegna sarà a guida
femminile, perché le donne sarde studiano più degli uomini, leggono più
degli uomini, più degli uomini sono metodiche nel lavoro” e più degli uomini mostrano di avere una
visione collettiva dello sviluppo.
E’ un auspicio bellissimo che
condivido come quello di volere più donne in politica perché è vero che i
partiti, pur con opportune differenze, sono ancora ostinatamente maschilisti.
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