Libri e altro..


“Mi piacerebbe usare bene word”

il primo libro di Giuliana Lai, la sorella della grande artista ogliastrina Maria Lai, di Virginia Marci Presidente Pixel Multimedia

Emerge in “Mi piacerebbe usare bene word” il ritratto di una donna semplice, che ama leggere, scrivere, ascoltare musica. Legata al suo paese, all’Ogliastra e alla Sardegna. Ma anche frutto di una donna aperta alle nuove esperienze, che ama il computer e viaggiare, cosa che fa anche in età piuttosto avanzata.
Una donna legata agli affetti e dedita alla cura della famiglia e di suo marito Luigi. Il titolo “ Mi piacerebbe usare bene word “ trae origine dalla sua ultima scoperta e passione, peraltro lodevole, quella del software di videoscrittura che la facilita nello scrivere, ordinare in modo pulito la raccolta dei propri preziosi ricordi. Curioso però che per la prima stesura usi la matita a punta morbida, dono della sorella Maria, celebre artista di Ulassai, che ci rappresenta nel mondo.
Ho letto il libro durante le vacanze e l’ho letto tutto d’un fiato perché il modo di raccontare della Signora Giuliana è semplice, lineare, piacevole. E poiché tutti abbiamo “ una chiave di lettura” di quel che leggiamo; per me la chiave è stata quella di rispecchiarmi nel suo lavoro.
Generazioni diverse, modi e stili di vita simili a simboleggiare che la trasformazione della Sardegna dal punto di vista sociale e culturale è veramente recente. Poiché il libro della Signora Giuliana è il mio specchio (credo valga lo stesso per la maggior parte delle lettrici e dei lettori), le soste durante la lettura sono dovute alla grande emozione che suscita. Ricordi che si intrecciano con i miei vissuti e con quelli che mi hanno raccontato genitori e nonni.
Vita più umile la mia, ma simile nel suo fluire, nel ripetere giochi, tradizioni, rituali. Vicina nell’avvicendarsi dei lavori nei campi, nella modalità di trascorrere le vacanze nell’infanzia e nell’adolescenza, così per gli spostamenti a cavallo o con i buoi, così per i dissapori fra le famiglie.
Non mi dilungo. Ma voglio citare uno dei racconti “La casa di sabbia” ossia la casa delle vacanze estive. Per me è cambiato il mezzo di locomozione ( il carro per lei, la macchina o il postale per me), ma il primo mare è sempre Perd’e Pera. La casa è fatta di tende, i servizi igienici sono tra i cespugli. Bagni di sabbia per le cure, bagni in acqua con le donne di Ulassai (e di Foghesu, di Jerzu e Gairo) che indossano lunghe gonne plissettate.
Non c’era l’acqua nella casa improvvisata e mio padre doveva recarsi al Monte de Ferru dove ci si poteva approvvigionare in una limpida sorgente. Si diceva abitasse in quei luoghi un eremita e noi bambini nutrivamo il grande sogno “incontrarlo”. Quando mio padre si attardava, lo attendevo con ansia. Al suo arrivo gli chiedevo se avesse visto quel signore che viveva isolato e quali sembianze avesse. Tutto era intriso di grande magia.
Ringrazio Signora Giuliana per averci regalato questo suo lavoro, ricco di amore per i valori, quelli veri, per il forte attaccamento alla terra, alla famiglia e alla comunità, alla conoscenza. È un libro che tutti dovrebbero leggere. Come “Le Fiabe sarde” di Sergio Atzori è adatto ai bambini dai tre ai novanta anni e più. In particolare dovrebbe essere letto a scuola per la sua alta valenza pedagogica, affinché i giovani possano scoprire il positivo della nostra cultura.




Perdasdefogu, 31 ottobre 2008


Biblioteca comunale “Daniele Lai”

Presentazione del libro Sardinia Blues di Flavio Soriga

Ed. Bompiani

Virginia Marci

Licheri, Corda, Davide. Sono tre giovani sardi laureati, in attesa, (ma lo cercano sul serio?) del loro primo lavoro che non arriva. Trascorrono le loro giornate fra bar e discoteche di provincia, tutti sregati da Dandy, una bellissima ragazza. Trascorrere le giornate estive libere in una Sardegna che non è la Barbagia, ma neanche la Costa Smeralda non è certamente facile e i tre amici per occupare il tempo e per compiere azioni trasgressive rubano carte di identità in un piccolo comune e entrano a forza nella casa del Conte di Santa Croce cercando un testamento con cui l’anziano nomina la convivente polacca erede universale. Un libro in cui irrompono altri bei personaggi: la ballerina che ha lasciato Davide, il fidanzato di Dandy, il ramo William, l’amante matura di Davide, Maria Elena, l’amica Elisa, il pastore gay, il rock, il mare della Sardegna.
La protagonista del romanzo è tuttavia la talassemia, la malattia che accompagna Davide, sin dalla nascita. Malattia sviscerata, esaminata e descritta dall’autore in maniera scientifica senza fare di Davide una persona diversa. Anzi, al contrario, ne esalta la diversità e non mancano accurate descrizioni di trasfusioni di sangue, dettagliati racconti di incontri con medici, spesso privi di umanità. Malattia descritta da Flavio Soriga come una sorta di catarsi liberatoria.
Sardinia Blues è anche altro. Racconta il disfacimento della famiglia. Il padre di Davide ha lasciato la madre per una collega di quindici anni più giovane. I tre amici non hanno punti di riferimento se non la musica e le belle donne che fanno soffrire. Nessuno dei tre ha una relazione amorosa stabile, sicura e le donne sono sfuggenti, sicure, sballate di coca, vogliose di fare sesso. L’amore, se non quello della madre per Davide, manca in questo romanzo che presenta una trama narrativa corposa e ben articolata perché se numerosi sono i personaggi e le situazioni tratteggiati, lo scrittore riesce a tenere desta l’attenzione del lettore sia pure affrontando diversi temi.
Sardinia blues” è un romanzo innovativo, per lo stile narrativo, uno stile molto diverso dai precedenti romanzi di Flavio Soriga. Basti pensare al finale, originale e inaspettato, del libro che riesce a coniugare diverse vicende personali sullo sfondo del mare pulito di una Sardegna amata, in maniera assoluta, dallo scrittore.








PROSSIMAMENTE A PERDASDEFOGU
Il Delitto d’onore in Sardegna (La storia di Irene Biolchini) , Simonetta Delussu – Ed. La Riflessione
di Francesca Lai
1900, Jerzu la piccola Irene Biolchini nasce tra l’amore dei famigliari, la sua infanzia trascorre serena allietata dalla nascita dei fratellini. Per via del trasferimento del padre (esattore comunale) all’età di otto anni la bambina si reca con la famiglia a Tertenia dove poi, trascorrerà tutta la vita. Fattasi grande e in età di matrimonio la bella Irene viene chiesta in sposa da Domenico Lobina, giovane di Osini, carabiniere a Tertenia. Domenico che trascorre la sua infanzia ad Osini viene descritto nel romanzo come una bambino taciturno, il cui triste futuro viene presagito dalla madre e dalla levatrice proprio nel momento della nascita: Domenico presenta infatti delle caratteristiche fisiche che determinano la sfortuna e la morte violenta: tre nei e un segno sulla fronte. Arrivato a Tertenia Domenico sposa in prime nozze una giovane e bellissima donna, Elvira, che non potendogli dare un figlio si consumerà nel dolore che la porterà alla morte. Dopo pochissimo tempo il vedovo incontrerà Irene Biolchini, si fidanzerà con lei, col beneplacito di tutta la famiglia e soprattutto con la benevola approvazione del padre di lei, Costantino. Domenico, vuole un figlio a tutti i costi e cerca di sedurre Irene a consumare il matrimonio prima delle nozze, la reticenza di lei porta Domenico a farle una promessa: se non ti sposerò dovrai uccidermi. Regalatele una pistola, Domenico le insegna a sparare, Irene controvoglia maneggia la pistola. Accortasi di essere incinta Irene sente la presenza di Domenico venire meno, lui sempre impegnato con la caccia e col lavoro sparisce dalla sua vita ma non dai suoi pensieri. Ancora un triste evento colpisce la vita della giovane, infatti si viene a sapere che Domenico ha chiesto in sposa un’altra giovane donna del paese Fortunata Delussu, e che le nozze avverranno a breve. Sedotta e abbandonata Irene deve far fronte alla nuova situazione, incoraggiata dal padre a lavare con la morte l’onta subita e minacciata ella stessa di morte da parte del genitore, la giovane decide di imparare a sparare meglio di quanto le avesse già insegnato Domenichino. Va alla ricerca della tigre d’Ogliastra, Samuele Stocchino ben sapendo che egli è nascosto nelle campagne del paese aiutato nella sua latitanza anche dalla famiglia Biolchini. Stocchino le insegnerà a sparare con precisione ma non vorrà mai sapere a quale disonore dovrà far fronte Irene. Le nozze di Fortunata Delussu e Domenico Biolchini sono imminenti, ma un episodio scuote la comunità terteniese, durante la messa domenicale zia Pasqualina posseduta dagli spiriti predice una grande disgrazia per il paese. Irene gira per Tertenia con la pistola sotto il grembiule aspettando di incontrare Domenico per poterlo freddare con un colpo. Incinta di cinque mesi sempre più affaticata in una giornata dell’ottobre 1923 Irene uccide Domenico con due colpi di pistola uno dei quali lo colpirà in fronte. Si era sposato da appena dodici giorni. Irene si reca in caserma e si consegna nelle mani dell’arma, verrà portata nel carcere di Cagliari, dove nascerà Piero il suo primogenito. Verrà assolta per l’omicidio sei mesi dopo. Tornata a Tertenia un’intera comunità l’attende, si risposerà e avrà un’altra figlia, Maria. Piero crescerà ignaro del passato della madre, fino a fare i conti con la triste realtà quando ancora in tenera età viene canzonato dai compagni che lo chiamano “bastardo”, saputa tutta la verità da un amico Piero attende una conferma dalla madre, un tacito assenso arriverà in una sera d’inverno. Piero viene chiamato per la leva militare, ma prima di partire si reca ad Osini alla ricerca dei parenti del padre, li troverà, ma accolto in malo modo andrà via da Osini con grande disagio e con la consapevolezza di non aver niente a che fare con quelle persone, pensando solo alla madre donna coraggiosa che aveva difeso la sua vita. Arruolatosi poi nella legione straniera vivrà per sempre in Francia, vedendo sua madre per l’ultima volta in una visone. Irene morta di febbri dopo aver sognato Domenico che la chiamava a se, appare a Piero per salutarlo ancora una volta prima dell’ultima partenza. E’ il Gennaio 1953. Un romanzo che si snoda tra le due guerre, che racconta di tante perdite, di generazioni di giovani mai più tornate a casa. Racconta il coraggio di una donna che fa fronte al disonore con l’unica arma che la tradizione le impone: l’omicidio, il delitto d’onore. Salva la sua vita Irene, ma anche quella del dono più prezioso suo figlio. Sopporta le malelingue, sopporta la disapprovazione, sopporta tutto pur di dare alla luce il suo bambino. Una donna con un carattere indomito, una donna forte quella che viene delineata nel romanzo, e che non viene meno ad ogni suo dovere, qualsiasi esso sia.


 Perdasdefogu, 17 novembre 2007

 Biblioteca comunale “Daniele Lai”

 Presentazione del libro di Francesco Casula“Marianna 

Bussalai”  Edizioni Alfa – 2007 Virginia Marci


A nome dell’amministrazione comunale, porgo il cordiale benvenuto ai miei compaesani e ai numerosi ospiti che, pur con difficoltà, hanno raggiunto Perdasdefogu per partecipare alla manifestazione “I sabati del messaggio”- giunta alla dodicesima edizione. Un saluto particolare è dedicato ai cittadini di Orani e al loro sindaco Franco Pinna, concittadini di Marianna Bussalai  che  ricordiamo a sessant’anni  dalla sua prematura scomparsa, in occasione della  presentazione del libro “Marianna Bussalai” di Francesco Casula – Collana Omines e feminas de cabale della Alfa Editrice.
Con l’autore ringrazio i relatori: Bastiana Madau, critica letteraria – editor della Ilisso di Nuoro; Franca Marcialis insegnante- scrittrice;  Maria Antonietta Mongiu neo-assessore regionale alla Cultura e alla Pubblica Istruzione alla quale facciamo gli auguri di buon lavoro perché la Sardegna ha bisogno di tanta cultura e tanta istruzione.
Questo importante incontro, come già detto, è dedicato a Marianna Bussalai, intellettuale sardista, grande antifascista di Orani, personaggio poco conosciuto della storia e della cultura della Sardegna e  ignorato dalla “grande storia”. Il  sindaco di Orani sostiene la necessità di sottrarre al silenzio Marianna Bussalai. Concordo con lui e aggiungo: occorre sottrarre alla dimenticanza tutte le figure cosiddette minori …. che pure fanno la storia.
Il lavoro di Francesco Casula è lodevole proprio perché dà voce a chi altrimenti resterebbe senza. Consente di approfondire la conoscenza di questo personaggio, così splendido, che con il suo esempio può senza dubbio illuminare tutti, ma soprattutto può illuminare i politici e la politica di oggi.
Marianna, donna schiva, autodidatta, coltissima è infatti un esempio per tutti, in particolare lo è per i giovani e le donne. Colpisce per la sua condizione di vita  e per la sua ricca attività di scrittrice.
La sua è una vita trascorsa interamente ad Orani a causa di una grave malattia che ha minato il suo fisico. Nel suo paese natale, scrive tantissimo in italiano e in sardo. Traduce dal sardo le poesie di Montanaru e ha l’ambizione di tradurre la Divina commedia in sardo per i sardi che non conoscono l’italiano.
Marianna è, almeno per me,  un grande esempio soprattutto per  “la sua azione politica”. Nonostante la stretta sorveglianza della polizia fascista, tra gli anni venti e quaranta, fu il riferimento del sardismo clandestino del nuorese; mantenne costanti i rapporti con Lussu e Giacobbe. La sua casa fu rifugio e luogo di incontri clandestini.
Marianna, sardista convinta, intellettuale curiosa, è nel suo agire politico determinata, critica, autonoma e anche disubbidiente. Non aveva padrini. Insomma quando fu necessario, si oppose anche ad Emilio Lussu. Questo è sicuramente un aspetto importante e insieme attraente della personalità di questa donna, che deve guidare, uomini e donne, nell’impegno dentro le istituzioni.
Il mio augurio  è che, le donne come lei possano avere voce e spazio, nei partiti, nelle istituzioni nei luoghi di decisione e in ogni ambito della vita attiva.
Di lei una giovane studiosa ha scritto queste parole che leggo perché efficaci nella loro semplicità e è perché rivelano le notevoli capacità pedagogiche di Marianna: “Ringrazio Marianna per avermi trasmesso l’orgoglio di essere donna, di essere sarda, per avermi trasmesso l’amore per la cultura, la forza per affrontare le avversità, la caparbietà di vincere l’isolamento, la lucidità nel giudicare gli eventi, la dedizione totale per una causa, la volontà di restare nell’ombra, la forza di resistere alle lusinghe….”
Il resto lo trascuro è sufficiente così. 






Perdasdefogu, 10 giugno 1999
Chiesa Pre romanica “Sab Sebastiano”
Presentazione del libro di Giacomo Mameli
La squadra”- Undici giocatori-imprenditori e una riserva -
Edizioni Cuec, Cagliari –1999
Virginia Marci


Lettera aperta
Siamo qui, numerosi, per il piacere di esprimere il nostro affetto, il nostro calore e la nostra stima a te Giacomo.
Tanti fra noi credo lo volessero fare personalmente e in silenzio ma la pubblicazione del tuo libro “La squadra”- Undici giocatori-imprenditori e una riserva - ci da l’opportunità di farlo in comune e con altrettanta discrezione, in questo splendido luogo, che tanta intimità e raccoglimento ispira. Grazie Giacomo.
Il tuo libro è molto piacevole e si presta ad essere letto da un pubblico vasto.
L’economista, il sociologo troverebbero spunti e materiali per le loro analisi per sottolineare lo sviluppo sociale ed economico della nostra isola a partire dal secondo dopoguerra.
L’antropologo e lo storico troverebbero elementi per evidenziare il “mutamento positivo” che si è prodotto nell’atteggiamento di rassegnazione tipico di noi isolani. E si potrebbe parlare di storie familiari, di emigrazione e di disagio…
Perché gli atleti della tua squadra, i protagonisti di questo lavoro, sono persone comuni, sono contadini, domestiche, minatori, emigrati, sono giocatori che hanno amato scendere in campo e che stanno alle regole per poter restare e vincere.
Zia Michela e Maurissa, rispettivamente di Orosei e Bitti, hanno una storia semplice di donne, che hanno faticato e valorizzato il saper fare che da sempre appartiene alle donne di Baronia e Barbagia.
Fanno ospitalità e dolci di qualità e il loro nome fa il giro del mondo. Chi l’avrebbe per zia Michela, che io conosco e che in gioventù ha fatto la domestica e ancora veste il nero delle donne dei paesi!
Per non parlare del panettiere di Pula, del viticoltore di Serdiana e dei Cosseddu, produttori di olio a Seneghe.
Tutti fanno un mestiere semplice ma con grande maestria e dedizione e, tutti- per usare un termine che piace a te Giacomo- sanno coniugare la tradizione con l’innovazione e così possono stare… E non hanno tempo per rispondere alle domande di un uomo caparbio che vuole raccontare storie vere e positive (che altrimenti resterebbero sconosciute ai più), di un uomo che non ha la presunzione di fare analisi ma la bontà di darci messaggi incoraggianti in questa realtà che abbonda di pessimismo e rassegnazione.

Anch’io ho aspettato che tu Giacomo terminassi il lavoro. E dico che ho aspettato troppo perché il libro si legge tutto d’un fiato e non colma la sete…..perchè è bellissimo….perchè l’autore è bravissimo.
Perché chi come te riesce a scrivere di storia, di sociologia, di economia in modo semplice così da essere letto da me come da mio padre, oggi ottantenne, è scrittore vero.


A te la penna, come a Zio Celestino (lui per tutti) la terra, non ti tradisce mai. Is fueddus, o is paraulas, non ti mancano… Sei un vero comunicatore. Per me soprattutto di penna.


PRESENTAZIONE DEL LIBRO
CARE RAGAZZE di Vittoria Franco – Donzelli ed.
San sperate, novembre 2010
Virginia Marci

Ha il pregio della spontaneità e della forza comunicativa il libro di Vittoria Franco, “Care ragazze”,  pubblicato nella collana Saggine, dall'editore Donzelli.

Docente di Storia della Filosofia alla Normale di Pisa e parlamentare dal 2001, Vittoria Franco si occupa da lungo tempo, con impegno serio e costante, dei temi legati alla condizione femminile.
Il saggio ricostruisce, con sapienza e perizia, alcuni dei passaggi cruciali che hanno contrassegnato la storia della conquista delle libertà femminili. Colpisce la leggerezza dell'impianto narrativo, a fronte di una meticolosa e ben selezionata documentazione del cammino faticoso delle donne verso l’orizzonte della democrazia paritaria.
Ma risalta anche il desiderio dell'autrice, sempre attivo negli anni, di un confronto con la materia, in una dialettica che intreccia memoria del passato e attese del futuro.
Se è vero, infatti, che le donne sono riuscite a conquistare diritti fondamentali, resta sempre aperta la questione che riguarda l'esercizio di questi diritti in una società che esprime ancora forti resistenze alla loro piena applicazione, in particolare nell'ambito della politica.

Il saggio ha perciò il merito di stimolare le lettrici e  i lettori ad interrogarsi su questioni non superate e che richiamano peraltro diritti  richiamati dalla nostra Costituzione repubblicana quali:  “E’ possibile rimuovere definitivamente gli ostacoli di ordine legale, economico, politico, sociale e culturale che ancora compromettono un pari godimento di diritti tra uomini e donne?”;  “Come sradicare forme persistenti di violenza che suggeriscono di non considerare ovvi e mai definitivi neppure gli esiti più felici di quelle lotte?”.

Con tutta evidenza, affiora dalle pagine di Vittoria Franco la raccomandazione a non dimenticare che quelle libertà e quei diritti sono il frutto di lunghe lotte e sacrifici, non sono diritti naturali inalterabili e, perciò, non sono acquisiti per sempre.

Molti, allora, gli elementi offerti dal testo per una riflessione lucida sull'emancipazione femminile, attraverso l'esperienza di donne straordinarie come Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft, Harriet Taylor, Luce Irigaray, Carol Gilligan, Hannah Arendt, e tante altre, artefici del cambiamento in nome della dignità e del principio inalienabile dell'autodeterminazione della donna.

Un promemoria sui tanti traguardi raggiunti, ma anche sui nuovi spazi da conquistare, sulle cittadelle da espugnare, sulle leggi urgenti (invece ferme in Parlamento) che renderebbero più compiuta, una volta approvate, la democrazia paritaria.

E' un libro sui valori, per ritrovare "il senso di una cultura femminile che - come ricorda l'autrice nella prefazione al testo - produce talento, coscienza critica, autostima e cognizione delle proprie capacità".


«Care ragazze, ho incontrato tante di voi, in circostanze e luoghi diversi: nelle scuole, nelle università, nei partiti, nelle associazioni. Alcune entusiaste e consapevoli, altre sfiduciate, dal futuro incerto, rassegnate. Altre ancora desiderose di affermarsi, di superare ogni ostacolo pur di realizzare i propri progetti di vita…». È per loro che Vittoria Franco stila un promemoria delle libertà femminili conquistate dalla sua generazione, e l’intento è tutto rivolto al presente e al futuro di chi a quelle lotte non ha partecipato: ricordare che la libertà e i diritti delle donne non sono acquisiti una volta per tutte, e che l’impossibilità di praticarli fino in fondo li rende lettera morta fino a farli scomparire. Scoprire l’esperienza di donne che hanno lottato duramente per conquiste che oggi si danno per scontate; sapere che prima del 1974 in Italia non era possibile divorziare, che prima del 1978 l’aborto era illegale; che fino al 1975 la donna era sotto tutela del padre, del fratello o del marito e non aveva neanche diritto all’eredità; che prima del 1996 la violenza sessuale era un delitto contro la morale e non contro la persona: tutto questo serve come monito a non tornare a una concezione proprietaria della donna e a contrastare i tentativi di ricacciarla nei ruoli tradizionali e consueti. È vero, oggi le ragazze occupano la scena pubblica,ma è solo quella delle immagini televisive, che distorce la libertà e favorisce la mercificazione del corpo. Ecco, dunque, un promemoria dei tanti passi che le donne hanno fatto, ma soprattutto dei tanti ancora da fare, quelli decisivi per una reale parità e una cooperazione con gli uomini nella costruzione di una democrazia effettiva.
Bisognerebbe portarlo sempre con sé questo “promemoria” di Vittoria Franco - docente di filosofia alla Normale di Pisa, senatrice del Pd e per lungo tempo responsabile delle Pari Opportunità per i democratici.  Certo è molto di più di un “bignami” della storia delle conquiste femminili. Un mini saggio ricco e documentato da centellinare ma nello stesso tempo una lettera appassionata da leggere tutta di un fiato. Un appello intenso rivolto a tutto il mondo femminile. Quasi una chiamata alle armi. In Italia, le donne sono più brave negli studi ma faticano a occupare posti di rilievo nel mercato del lavoro. Il merito, da solo, sembra un concetto in via di estinzione, valido solo se accompagnato dalla bellezza. E assistiamo a un ritorno al sessismo ostile alle donne preparate e autorevoli che rifiutano lo stereotipo di “ornamento”.
Certo sono le ragazze a correre i rischi maggiori. Lo ha detto a Job24.it qualche mese fa Rosa Oliva- la proto femminista che nel 1960 riuscì a far abolire dalla Corte costituzionale le discriminazioni di genere nelle cariche pubbliche- ”le più giovani danno per scontate molte cose, dimenticando la fatica per ottenere conquiste, diritti. E' facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia”.
Ed è proprio quello che si propone di fare Vittoria Franco con libro “Care ragazze- Un promemoria”. Raccontare a chi non sa. Ricordare a chi ha dimenticato. Perché bisogna avere sempre chiara la consapevolezza che “i diritti delle donne non sono stati dati per natura ma rappresentano il frutto delle lotte di diverse generazioni.
E, soprattutto, si possono anche perdere”.



Perdasdefogu, 23 luglio 2012
Biblioteca comunale “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Michela Murgia L’Incontro
Virginia Marci

L’INCONTRO
Anche io ringrazio Michela per essere qui con noi.
Pensando al modo con cui interagiamo noi frequentatori dei social-network dicendomi che su MICHELA  e il suo ultimo lavoro L’INCONTRO avrei clikkato tante volte MI PIACE.
Più precisamente MI PIACE,  PERCHE’
Michela mi piace innanzitutto perché donna, persona capace, competente, caparbia e determinata. Donna che ama la sua terra, la sua cultura e la sua tradizione  facendola conoscere nel mondo attraverso i suoi scritti, filtrando la realtà locale con l’esperienza, con L’INCONTRO, LO SCONTRO, LO SCAMBIO con culture diverse.
Michela  MI PIACE, PERCHE’
Donna credente ma non bigotta, come si dice di tanti e tante che frequentano la Chiesa , e per questo capace di metterne in discussione le figure di riferimento e gli assetti del potere ecclesiatico.
MI PIACE,  PERCHE’ la sua scrittura nitida, essenziale, descrittiva e densa di emozioni ha avuto il pregio di riportami indietro di parecchi anni.
Le corse di Maurizio (che trascorre le vacanze a Crabas dai nonni mentre i genitori sono impegnati nel lavoro in una località poco distante) con Giulio e Franco sono le mie. Crabas è Foghesu di tanti anni fa. Foghesu che io ho avuto la fortuna di conoscere  “Quando ….al calar del sole “i vecchi uscivano dalle loro case come lumache sotto la pioggia" a raccontare storie di vita, a raccontare  del passato e del quotidiano..
Ho ripercorso le serate trascorse vicino ai miei genitori e i miei nonni quando quasi atterrita  ascoltavo storie che non capivo fossero reali o fantastiche. E quando diventavano piccanti e dicevano non si podidi nai perché c’è la bambina….. facevo finta di dormire.
Le avventure dei tre amici, le loro paure, le  loro ansie, il bisogno di affermare se stessi le ho vissute come mie e come delle amiche di allora, Giulia, Marinella, Chiara.
Non ho dato fuoco ai topi ma volendo omaggiare mia madre, colgo a sa muragessa un’arancia e gliela porto. Visto che i miei non possedevano un albero di arancio….. ha capito e mi ha lanciato un bastone., che solo la mia agilità aveva potuto scansare. Si perché in casa il Furto è considerato un atto grave.
Questa è la ricchezza del viver paesano, che mi porto dentro, che Michela si porta dentro, che noi ci portiamo dentro anche quando SIAMO FUORI.
Il mondo di Foghesu  e di Crabas che è in me e in noi e dal quale nessuno ci  può sottrarre.
MI PIACE, Michela PERCHE’ con questo breve romanzo o racconto (non importa) ci offre una storia semplice ma non banale, dove intreccia alla quotidianità spicciola di una banda di ragazzini, lo spessore denso e mai scontato dell’appartenere a qualcosa.
E questo è importante… perché Michela si interroga sui meccanismi con cui si costruisce o si disgrega l’identità di una comunità.
MI PIACE, PERCHE’ ripropone temi  forti (presenti in altri suoi lavori come Accabadora)  che richiamano il concetto di famiglia non come legame di sangue (senza dubbio importante) ma come concetto più ampio qual è il vivere con i nonni (perché in genitori sono fuori per motivi di lavoro) qual è il vivere de sa figlia de anima o filgiu (o dell’adozione) genera un legame intimamente più forte, un amore incondizionato,  da quello imposto dal vincolo del sangue.
MI PIACE….. PERCHE’
Michela è stata capace di sorprendermi. Inizialmente ho pensato che il titolo “L’INCONTRO” replicasse le molteplici occasioni di incontro che offre il periodo estivo (che pure sono  presenti nel racconto). Scopro che L’INCONTRO  è anche il culmine della processione pasquale quando Maria incontra suo figlio risorto. Ma a Crabas questo avviene in un clima infuocato perché la nascita di una nuova parrocchia quella del Sacro Cuore deve competere con l’unica presente quella di Santa Maria. Due chiese, due parrocci, due squadre di chierichetti e il Monsignore che si contendono il territorio che altro non è che il Potere e che Potere. Noi e loro.
MI PIACE, PERCHE’
Nell'INCONTRO  fra la "guerra del cuore" e la  fantasia dei ragazzi si risolve il finale di questa esile trama, con una sorpresa che fa pensare (deformazione professionale): e se fossero i ragazzi gli unici capaci di risolvere le conflittualità dei grandi?

ASCOLTIAMOLI.








Biblioteca comunale “Daniele Lai”

Presentazione del libro di Giacomo Mameli “Sardo Sono

Edizioni Cuec, Cagliari – 2012

Virginia Marci Presidente Associazione Pixel Multimedia


“Sardo Sono”, la nuova fatica di Giacomo Mameli, dovrebbe essere venduto nelle parafarmacie come attivatore di riflessioni” sostiene Lilli Pruna, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Cagliari.

Condivido e aggiungo. E’ un libro che dovrebbe essere distribuito capillarmente nelle scuole per motivare i nostri giovani, scoraggiati da un sistema scuola avulso dal contesto sociale e da un mercato del lavoro che non offre prospettive; per attivare i nostri giovani, disorientati da una società incapace di premiare il merito; confusi da una società che non compete e che ci fa sentire in costante situazione di inferiorità nello scenario internazionale dove la Sardegna si presenta con un tasso di dispersione scolastica tra i più elevati d’Italia e di un correlato dato sulla disoccupazione giovanile piuttosto preoccupante. Tra i giovani -più di uno su due non lavora e quando lavora lo fa con uno dei tanti contratti atipici, proliferati in questi ultimi anni, che fanno del giovane un precario regolarizzato e che per questa sua condizione non può investire in un proprio progetto di vita (personale e lavorativo).

Giacomo Mameli pone in risalto e loda le competenze dei protagonisti. Buone competenze si raggiungono se si ha un buon grado di istruzione. Ma la Sardegna, come il resto d’Italia – Meridione in testa, detiene un triste record, quello della bassa scolarizzazione. I dati Istat evidenziano che tra i giovani sardi -nella fascia d’età compresa tra i 15-25 anni- il 56% ha conseguito solo la licenza media, il 10% ha la sola licenza elementare, i laureati sono un’élite ristretta.

Il quadro è ancor più grave se si considera che la nostra società non investe sui giovani, non investe in chi raggiunge elevate competenze, non offre a tutti l’opportunità di formarsi e di essere premiati su base meritocratica. Merito inteso nella sua accezione più ampia quella di pari opportunità per tutti. E’ bene specificare. Che merito avrebbe infatti il figlio di un medico, che a sua volta intraprende la stessa carriera…. sfruttando una rendita di posizione (uno studio avviato per esempio)? Rendita che non hanno né il figlio del pastore né del contadino tanto per citare alcune fasce della popolazione attiva.

A tal proposito cito Giovanni Razzu, sardo a Downing Street- “Meritocrazia questa sconosciuta” (ma non nella sua esperienza evidentemente).
Razzu, con molta onestà ammette che semplicemente, spesso, “l’opportunità dipende soprattutto dalle risorse finanziarie”. Non per questo sminuisce il valore della meritocrazia: “Il talento e il merito –scrive infatti- rappresentano le uniche fonti legittime di diseguaglianza delle opportunità a disposizione degli individui, il resto dovrebbe essere reso nullo. Questo è un punto forse sorprendente per molti: la meritocrazia è un principio egualitario alquanto forte che richiede sostanziali interventi statali per rendere nulle le fonti di disuguaglianza che non siano il talento e l’impegno!” (pp. 241-242).

Razzu emigra e ha successo. Perché? Perché il talento e l’impegno trova terreno fertile nel Regno Unito mentre la Sardegna (attanagliata da una crisi senza precedenti) non ha le condizioni per poter competere e promuovere lo sviluppo dei talenti. Ha una burocrazia che paralizza, un processo di industrializzazione fallito, un sistema fiscale pesante, ecc.
Come scrive lo stesso Giacomo, la nostra Sardegna è incapace di far stare il reddito in casa propria, di utilizzare le opportunità finanziarie offerte dall’Europa. E’ una terra che risente di un sistema scuola al collasso. E questo è il danno maggiore. La nostra società non investe abbastanza in cultura e in istruzione. E per questo non riesce a far emergere le capacità. Perché tanta incapacità?
Nel libro di Giacomo “Sardo sono” sono contenute storie di donne e uomini competenti, di piccole e medie aziende all’avanguardia in vari campi (dall’informazione, alla ricerca scientifica, alla green economy) affermatisi in Sardegna e a livello internazionale. Ma queste sono poche, sono una élite o per citare un suo libro precedente sono delle eccezioni.

La stessa domanda “Perché tanta incapacità?” -che Giacomo pone e si pone- sin dall’introduzione giro ai rappresentanti istituzionali (Diana e La Spisa) dai quali, pur da posizioni diverse, con una propria chiave di lettura unita al senso di responsabilità che l’agire politico contempla, ci attendiamo una risposta.
Forse anche un mea culpa, che non riferisco a loro come singoli, ma all’intera classe dirigente che mi auguro voglia invertire la rotta per salvare la nostra Sardegna, ormai in agonia.





Perdasdefogu, 8 agosto 2009
Biblioteca comunale “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Bachisio Floris “Nùoro forever
Edizioni Cuec, Cagliari – 2009
Virginia Marci, Presidente Associazione Pixel Multimedia

 “Nùoro forever” è la prima fatica letteraria di Bachisio Floris.  Ho avuto modo di leggere in anteprima qualche capitolo di “Nùoro forever”, pubblicati da SARDINEWS, mensile di informazione socio-economica diretto dal giornalista-scrittore Giacomo Mameli. Ricordo in particolare quello pubblicato nel mese di dicembre 2008..... quello dell’ultimo esame prima della tesi “Prima di Bonorva c’era uno slargo con una fontana”. L’ultimo esame è un incubo per tutti gli studenti universitari, lo fu anche per me.
Ho poi letto l’opera completa, “Nùoro forever”: l’ho letta  tutto d’un fiato perché,  pagina dopo pagina, andavo scoprendo che le storie non erano solo “nuoresi”; erano attrattive anche  per chi era non era nato sotto il Monte Ortobene. In  quelle pagine si scorgeva una Sardegna bella e sconosciuta, che spronava nella lettura.  
Il piacere e grande emozione della lettura erano suscitati anche dallo stile letterario snello con il quale è raccontata con grande maestria la vita di ogni giorno, in una Nuoro della seconda metà del secolo scorso. Scene di semplice quotidianità, che la memoria non cancella e l’autore, nel raccontarle, rivive con una intensità davvero coinvolgente. 
“Nùoro forever” è opera autobiografica. Vi sono descritti in modo impareggiabile, letterariamente perfetto, il tempo, i personaggi, i luoghi, le situazioni dell’adolescenza e della giovinezza di Bachisio  Floris,  studente a Nuoro, poi a Roma e a Sassari e l’età adulta, bancario a Roma.  Vi troviamo gli amici del Coro di Nuoro, la storia della colomba di Gonario, la morte dell’amico, le avventure estive e gli amori mai consumati o interrotti. L’opera è un concentrato di vita comunitaria, in una Nuoro, patria di Grazia Deledda e Salvatore Satta, incantatrice, bella, semplice, strana;  una città, dalla quale ti allontani con amarezza e che ritrovi con infinito stupore.
Emerge da “Nùoro forever”, mi pare,  l’idea che per l’autore “essere nuorese” è un onore, un vanto, un modo d’essere. Sentimenti che accompagnano tutta la vita. Sensazioni che contagiano il lettore. La fatica di Floris è un atto d’amore per la sua città e la sua terra;  un attaccamento senza miti, riconsiderato alla luce di esperienze vissute fuori dalla Sardegna, che gli sono servite per dare valore aggiunto alle proprie radici. Perché così deve essere l’amore per il proprio paese, se autentico.

Questo bel lavoro è solo l’inizio. Auspichiamo che dottor Floris, scrittore e non più bancario, voglia regalare ai suoi lettori nuove pagine e favorire la conoscenza di un mondo ancora non sufficientemente esplorato.

PERDASDEFOGU, 26 LUGLIO 2008 PIAZZA PEPPINO FIORI
Presentazione del libro di Giacomo Mameli
“La Sardegna di dentro, la Sardegna di fuori”
Cagliari, Ed. Cuec - 2008
Virginia Marci – Presidente Associazione Pixel Multimedia

Il nuovo lavoro di Giacomo La Sardegna di dentro, La Sardegna di fuori”- è un’opera in due volumi raccolti in un bel cofanetto della Casa editrice CUEC di Cagliari. Introduzioni illustri: una di Remo Bodei, filosofo sardo americano, insegna all’università di Los Angeles e l’altra di Giovanni Floris, giornalista-scrittore, padre nuorese, conosciuto al grande pubblico per la conduzione di Ballarò (avremo il piacere di averlo nostro ospite a breve).
La Sardegna di dentro, La Sardegna di fuori”-pubblicato quattro settimane fa è già alla seconda edizione (lo comunico anche all’autore che non lo sa).
Giacomo, con questo nuovo lavoro, riprende il filone che lo ha visto esordire, come ricorderete, più di nove anni fa con “La squadra – Undici calciatori e una riserva” (la riserva è Celestrino Demontis). Riprende dopo la felice parentesi di “La ghianda è una ciliegia”, che ci fatto svelato un Giacomo narratore attento, che dà voce ai suoi compaesani, “ai senza voce”, che hanno vissuto la tragedia della seconda guerra mondiale, dimostrando come le loro piccole storie possono diventare la grande Storia. E così una piccola comunità come la nostra si è posta all’attenzione degli studiosi e della cronaca nazionali. Numerosi i riconoscimenti ottenuti, ultimo quello tributato a Roma, al Campidoglio.

La Sardegna presentata in questi due volumi è una Sardegna che lavora, che si dà da fare, nei mestieri e nelle professioni. E’ la Sardegna che piace a Giacomo (che in questo caso volutamente esclude di citare i fatti di cronaca nera);   una Sardegna operosa da Nord a Sud;  una Sardegna che si evolve, che si specializza nelle produzioni, che introduce innovazione e tecnologia.
C’è in questo libro la Sardegna amata dai botanici tedeschi, la Sardegna che salvaguarda le tradizioni ma che si sa proiettare nell’oggi e nel futuro con intelligenza. Certo c’è anche la Sardegna che si spopola, che rischia di perdere i suoi paesi, ma che comunque “ E….pur si muove”, per parafrasare il celebre libro del nostro ospite Professor Gianfranco Bottazzi, docente di Sociologia alla prestigiosa facoltà di Scienze poliche di Cagliari.

“Una Sardegna meno nota, come dice Remo Bodei nell’introduzione al primo volume, che procurerà al lettore molte sorprese e gli farà intuire stili di vita, memorie e aspettative dei suoi abitanti."
Nel secondo volume sono presentati i sardi “di fuori” – la diaspora. I sardi che si sono affermati altrove, in continente e nel mondo e che altrove vivono bene. Come Gigi Pirarba, nato a Perdasdefogu, a S’Orgioledda artista doppiatore di attori famosi e Lia Lai, figlia di Benito e Cesira Demontis, infermiera in California, nata tra gli ulivi di Maraidda.
Nell’ultima parte del libro alcuni hanno scritto sul tema “La Sardegna che vedo, la Sardegna che vorrei”. Emerge dalle loro dichiarazioni una Sardegna che – ovviamente – tutti amano ma che tutti vorrebbero più aperta al mondo, più rispettosa delle diversità. Vorrebbero una Sardegna che rispetta la natura e le tradizioni. Una Sardegna più intraprendente. Quel che colpisce, e forse, sfata una credenza comune è che non hanno, almeno non tutti, intenzione di tornare e lo dicono senza rimpianti.

Per questo le parole di Giovanni Floris mi sembrano quanto mai appropriate "Il lavoro di Giacomo Mameli si concentra in profondità  sulle radici, ma lo scavo nella tradizione sarda, non si esaurisce mai in sterile celebrazione, diventando piuttosto un metodo universale di conoscenza del reale." 



Perdasdefogu, 21 aprile 2007- Biblioteca “Daniele Lai”
Presentazione del libro di Giacomo Mameli
Donne sarde. Protagoniste nel lavoro e nelle professioni
Cagliari, Cuec, 2006
Virginia Marci – Presidente Associazione Pixel Multimedia

Il libro di Giacomo Mameli “Donne sarde. Protagoniste nel lavoro e nelle professioni” racchiude 43 articoli pubblicati sulla Nuova Sardegna nella rubrica “Persone e paesi” e nelle pagine culturali. In questo lavoro ci sono cronache di malessere, storie di piccole imprenditrici e imprenditori e tanta cultura.  Storie semplici, scritte con passione,  con grande abilità.  Ma ci sono soprattutto storie di donne, donne che contribuiscono a cambiare il volto della Sardegna. E’ significativo che il libro si chiuda con la testimonianza di Pina Paola Monni, una ragazza “normale”, che ha spezzato il muro dell’omertà.

Giacomo racconta le storie di queste donne senza stupirsi. Non si sorprende - come molti fanno quando descrivono le imprese delle donne - che siano riuscite a realizzare impresa, a creare lavoro e reddito in territori non facili. Non si meraviglia, piuttosto se ne appassiona. Come si appassiona sinceramente alle vicende di tutti coloro – uomini e donne – che hanno idee e le realizzano.
In tutti i libri di Giacomo traspare l’ammirazione per la gente che si impegna, si ingegna, studia, impara, osserva, rischia: l’ammirazione per le persone che fanno. “Fare” come sinonimo di lavorare, di produrre, ma molto di più: avere valori, ideali e un’idea di progresso.
La gente a cui ha dato voce è tutta gente consapevole dei problemi del proprio territorio. Non c’è storia in cui non venga espressa qualche amara e realistica considerazione sul deterioramento delle condizioni di vita delle comunità locali, a cominciare dalle condizioni materiali: le abitazioni, l’ambiente, oggetto di critica e di studio di Donatella Murtas, l’architetto sardo-piemontese con casa a Dolianova.
Ma il deterioramento è anche delle condizioni immateriali di vita: qualità dei rapporti sociali e con le istituzioni, capacità di collaborare, di identificarsi in un progetto collettivo, di avere fiducia negli altri e nelle istituzioni (che, è pur vero, debbono guadagnarsela).
Le donne di cui Giacomo racconta le vicende sono persone che decidono di “fare” in un’ottica collettiva, per reagire alla rassegnazione delle comunità locali, all’incapacità di intravedere un futuro migliore.
Sono tutte donne che reagiscono allo spopolamento dei paesi, alla crisi economica, alla mancanza di prospettive di sviluppo, ma non per se stesse, piuttosto con l’intento di essere utili alla comunità cui appartengono. Non per salvarsi da sole, ma per contribuire a sostenere tutti. E’ un intento esplicito: “Volevo reagire, dire anche qui si può far qualcosa”, racconta Elena Soddu, che a Benetutti (SS) fonda negli anni settanta la Marben (Maglieria artigiana Benetutti), che ha prodotto per le più grandi firme italiane ed è arrivata ad avere quarantacinque addetti, anche se ora sono scesi a quindici. Oggi, il rammarico di questa imprenditrice è di non essere “in grado di garantire nuovo lavoro”. Sono pensieri che balenano in molte teste.  Succede ad esempio ad Ulassai, un piccolo centro dell’interno, in Ogliastra. Dove la sfida si gioca soprattutto sulle mani, le mani produttive di sette  donne, guidate da Maria Serrau,  che portano reddito nelle famiglie  intrecciando lino e cotone e lane, che creano tappeti e tutto ciò che occorre per rendere accogliente una casa, impreziositi dai disegni di Maria Lai, la più grande artista vivente.
Nel Sulcis-Iglesiente, un gruppo di donne inventa il circuito delle Domus amigas (trenta case con sei posti letto ciascuna, disseminate nei territori di quattordici comuni, che offrono duecento posti letto), partendo da una domanda: “che cosa possiamo proporre di concreto per il futuro dei nostri figli?”.  
Con la chiusura delle miniere, questo territorio ha  perduto tanto  in termini di occupazione, reddito, identità e spirito comunitario. Ciò che guadagnerà dallo smantellamento di un’attività industriale non è ancora chiaro, occorre confidare sul parco geominerario. L’obiettivo delle Domus amigas è esplicitamente quello di “dare senso a una comunità dove si possa stare bene tutti e non solo alcuni”. Un intervento di sviluppo locale che non inquina (l’attenzione all’ambiente non può mancare in chi si preoccupa del futuro) e che “crea reddito diffuso, non per pochi privilegiati”.

Lavori spesso molto duri (come quello di Rosina Mameli di Barisardo, quattro figli, “che ha iniziato a fare pulizie da sola” e oggi ha cinquanta dipendenti part-time, cinque a tempo pieno, si occupa di pulizie ma anche di mense scolastiche e aziendali, e perfino di servizi di salvataggio a mare; ma diversamente intensi e impegnativi (come quello di Cristina Collu, direttore del MAN di Nuoro). Le storie esemplari raccontate da Giacomo ci ricordano che esistono nelle aspirazioni delle persone anche mestieri che non fanno diventare ricchi, ma consentono di vivere bene, di essere soddisfatti delle proprie capacità di fare.

Questo libro di Giacomo, come gli altri già pubblicati,  è un inno all’istruzione, allo studio, alla conoscenza, alla crescita individuale. Chi ha studiato ne trae sempre vantaggio, chi non l’ha fatto rimpiange di non avere studiato.
E’ suggestiva e credo anche realistica l’immagine della Sardegna in cui “si avverte una presenza femminile vivace, nelle arti e nei mestieri”. In effetti, le donne nel mercato del lavoro sono sempre più numerose, in forme diverse, malgrado il mercato del lavoro sia tuttora un ambiente maschile.


L’organizzazione del lavoro è maschile, perché è nata con l’industria pesante e non è facile cambiarla. Sono proprio le modalità organizzative impostate in larga prevalenza su un modello maschile ad ostacolare la partecipazione femminile al lavoro.
Nella prefazione Giacomo scrive: “Sembra di capire che tra qualche anno la Sardegna sarà a guida femminile, perché le donne sarde studiano più degli uomini, leggono più degli uomini, più degli uomini sono metodiche nel lavoro” e più degli uomini mostrano di avere una visione collettiva dello sviluppo.


E’ un auspicio bellissimo che condivido come quello di volere più donne in politica perché è vero che i partiti, pur con opportune differenze, sono ancora ostinatamente maschilisti. 

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